Caleidoscopio (Kaleidoscope), serie TV Netflix con Giancarlo Esposito (il Gustavo ‘Gus’ Fring di Breaking Bad e Better Call Saul), viene presentata come la prima serie televisiva non lineare. Questo significa che lo spettatore può decidere autonomamente la sequenza nella quale vedere la maggior parte delle otto puntate, personalizzando l’esperienza di visione e senza pregiudicare la comprensione dell’insieme narrativo. La miniserie è ideata da Eric Garcia, sceneggiatore decisamente poco prolifico di opere minori (film come Repo Man o Strange But True) spesso tratte da suoi libri, e vede nel cast anche Rufus Sewell (The Father, Old), Paz Vega (Vendetta Finale) e Tati Gabrielle (Le Terrificanti Avventure di Sabrina).
DI COSA PARLA CALEIDOSCOPIO? UN COLPO GROSSO DALLO SVOLGIMENTO INUSUALE
Leo (Giancarlo Eposito) è la mente criminale di una rapina da 7 miliardi di dollari custoditi nel caveau più sicuro del mondo. Nel mettere insieme la giusta banda, fra tradimenti e vendetta, le storie dei protagonisti si ricombinano continuamente per convergere fino al colpo grosso.
CALEIDOSCOPIO: I LIMITI DI UNA STRUTTURA NON LINEARE
Caleidoscopio (Kaleidoscope) ha ovviamente mosso interesse per la sua struttura non lineare. È la prima serie Netflix che offre allo spettatore la possibilità di scegliere l’ordine in cui guardare le otto puntate, che prendono il nome di colori diversi proprio per evitare di pregiudicare la scelta degli episodi. Nonostante Caleidoscopio (Kaleidoscope) sia strutturata per una visione randomizzata, esistono però delle modalità preferenziali di fruizione rispetto ad altre. Ad esempio la puntata “Bianco”, in cui è inscenata la rapina, è consigliabile guardarla per ultima.
GARCIA LAVORA SU MICRO-NARRAZIONI CHE RENDONO POSSIBILI CALEIDOSCOPIO
Caleidoscopio (Kaleidoscope) offre questa possibilità, in quanto ogni puntata si regge su una struttura narrativa autosufficiente. È il sapiente utilizzo delle tecniche di narrazione che permette allo spettatore di comprenderne i nessi logici, le relazioni fra i personaggi, senza dove conoscere nell’immediato la cornice complessiva in cui essi si muovono. Ovviamente, maggiore è il numero di puntate che si guardano, maggiori elementi entrano in gioco e permettono allo spettatore di ricostruire uno schema che si svolge nell’arco temporale di un quarto di secolo.
CALEIDOSCOPIO: UN PRECEDENTE IN BLACK MIRROR
Eppure Caleidoscopio (Kaleidoscope), per quanto possa rappresentare una novità, non lo è fino in fondo. Seppure con un meccanismo diverso, con Bandersnatch, la puntata interattiva di Black Mirror, Netflix aveva messo in gioco la possibilità per lo spettatore di costruire la storia, attraverso l’interazione con essa e pilotando le scelte del protagonista. Meccanismo poi ripreso, sempre con poco successo, in altri prodotti, come You Vs. Wild con Bear Grylls.
I MONDI POSSIBILI DELLE STORIE INTERATTIVE
Nella narrativa, in generale, Caleidoscopio (Kaleidoscope) rappresenta dunque una risultante ultima di sperimentazioni che hanno importanti precedenti anche nella letteratura, partendo dei libri-game degli anni ’80 fino a S. La Nave di Teseo, scritto da Doug Dorst partendo da un’idea di J. J. Abrams. Stessa cosa per il gaming, che va sempre più nella direzione della rifrazione narrativa e vanta esempi rilevanti come la fortunata serie di Life is Strange prodotta dalla Square Enix e il cui sistema narrativo è interamente basato sulle scelte prese dal giocatore.
CALEIDOSCOPIO: TROPPO RUMORE PER NULLA
In Caleidoscopio (Kaleidoscope) però il contributo Din interattività portato dalla libera scelta dell’ordine degli episodi è a dir poco trascurabile, rimanendo quasi solo un gimmick promozionale. Può anche essere la novità del momento, può anche essere interessante per la modalità di fruizione, ma rimane un volgarissimo heist drama senza alcuna ispirazione. La miniserie di Garcia infatti, seppure coinvolgente per le interpretazioni dei personaggi, rimane un prodotto piatto la cui visione è accompagnata da un senso continuo di deja vu.
Caleidoscopio (Kaleidoscope) ha infatti nella curiosità generata dalla sua struttura parcellizzata l’unico vero punto di interesse, e la cui attrattiva si esaurisce peraltro molto presto. L’inesperienza (o la mancanza di talento) di Garcia traspaiono completamente dal risultato finale, facendo dello show un prodotto meno che trascurabile.