Situazioni surreali, suspance e un finale per niente scontato, è quello che succede quando il genio della commedia John Landis (chi non conosce The Blues Brothers o Animal House?!) decide di cimentarsi nel genere horror. An American Werewolf in London del 1981, è uno dei film cult dell’intero repertorio horror cinematografico e quello che ha posto le basi per le successive pellicole che vedono come protagonisti mostruosi licantropi affamati di terrore. L’infernale mastino di Baskerville a cui dava la caccia Sherlock Holmes è il padre letterario di questi temibili esemplari che si aggirano per la brughiera londinese. Ed è proprio uno di questi che David e Jack, due giovani americani in vacanza, incontrano nella campagna inglese dopo essere stati cacciati da un pub abitato da padroni e clienti sospettosi e per nulla gentili. Jack muore nell’attacco in una scena bellissima e mozzafiato, mentre David rimane ferito e trasportato in ospedale, dove passerà alcune settimane in dolce compagnia dell’infermiera Alex. Ben presto però, la mente di David inizierà a giocare brutti scherzi, insinuando in lui l’idea che possa trasformarsi in un lupo mannaro da un momento all’altro. Quando ne avrà la certezza sarà ormai troppo tardi.
John Landis riesce a portare sullo schermo i classici elementi del genere horror in una perfetta coniugazione con lo humour più nero. Nero perché non è una comicità intesa a bilanciare con il sorriso la suspense delle scene horror, ma perché non riesce a far uscire lo spettatore dal tunnel di disagio in cui si trova. Contemporaneamente però, l’umorismo tipico dei suoi film, emerge continuamente in ogni scena portando prepotentemente alla luce il lato grottesco del film. indimenticabile a questo proposito è la scena ambientata nel piccolo cinema porno che vede David discutere con il cadavere dell’amico Jack, sempre più putrefatto, e con quelli delle sue vittime, riguardo agli innumerevoli modi per togliersi la vita e porre fine alla maledizione del licantropo.
Se oggi una parte del pubblico potrebbe sorridere nel vedere gli effetti speciali e annoiarsi nell’attesa dell’azione vera e propria, è perché si tratta di occhi poco critici, voyeuristici e nulla più. Questo non è semplicemente un film horror/grottesco: è la storia di un viaggio, un romanzo di formazione tipico degli anni Ottanta. Non è la storia di un licantropo che miete vittime ininterrottamente: è la storia della sua trasformazione psicosomatica, del suo abbandono dei valori umani, dal più crudo e naturale di cibarsi, a quelli più complessi come l’amicizia e l’amore. Il tutto condito con l’ironia che appartiene al più grande interprete del film, Landis, dietro alla macchina da presa.
Ricordiamo inoltre l’Oscar al miglior trucco ricevuto da Rick Baker, che colpì talmente tanto il pubblico da arrivare nel cuore di un altro grande artista: un paio d’anni più tardi Michael Jackson decise di girare un video ispirato a Un lupo mannaro americano a Londra, diretto non a caso dallo stesso John Landis.
Venezia 73: la recensione di Un Lupo Mannaro Americano A Londra
Di Elena Pisa
Per la sezione Venezia Classici viene presentata la versione restaurata del capolavoro di John Landis datato 1981.