Gli ultimi 10 anni per Mel Gibson non sono stati esattamente una passeggiata di salute: sembrano davvero lontani i gloriosi anni ’80, quando questo giovane attore, nato a New York ma cresciuto in Australia, conquista Hollywood e s’impone come icona del cinema d’azione, protagonista indiscusso della saga di Mad Max, e poi di Arma Letale. E sembra lontano anche il 1995, quando il colossal Braveheart – Cuore impavido sbanca il botteghino e con i suoi 5 premi Oscar (tra cui Miglior film e Miglior regia) fa di Mel Gibson uno dei cineasti più influenti della scena internazionale. All’inizio degli anni 2000, i tempi sono maturi per il suo progetto più ambizioso: La passione di Cristo. Girato in Italia, a Matera, e recitato interamente in aramaico e latino, è l’occasione per il fervente cattolico Gibson di rendere omaggio al sacrificio del figlio di Dio. Il risultato è uno dei film più violenti della Storia del Cinema, non solo per la ferocia delle torture, la descrizione minuziosa di tutte le fasi della crocifissione, ma per la violenza che sostiene l’intero impianto registico, dalle inquadrature al montaggio, che non sembrano lasciare agli spettatori né tregua né scampo. Con La passione di Cristo Gibson si rivela non solo un cineasta maturo ma anche un abile stratega, esasperando il tono delle polemiche e creando intorno al film una diatriba internazionale, che certo contribuisce agli oltre 600 milioni di dollari d’incasso. Ma nel 2006 Apocalypto, un altro racconto pantagruelico, fondato sul discutibile assunto che i Maya fossero un popolo primitivo, sanguinario ed efferato, non replica il successo de La passione di Cristo. Di lì a breve Gibson conquista le prime pagine dei rotocalchi solo per le sue drammatiche vicissitudini personali. L’ex compagna Oskana Grigorieva (da cui Gibson ha avuto la sua ottava figlia) rende pubbliche le sue telefonate, cariche di odio, insulti razzisti e minacce di morte. Nel 2011, il processo finisce con un patteggiamento: Gibson rinuncia all’affidamento della bambina, accettando anche un periodo di riabilitazione psichiatrica. Seguono anni bui, altre accuse di insulti antisemiti da parte di un agente di polizia, altri periodi di riabilitazione per la dipendenza da alcool. Hollywood sembra aver chiuso le porte al nostro eroe. Almeno, fino al 2014, quando il produttore Bill Mechanic gli propone la sceneggiatura de La battaglia di Hacksaw Ridge.
“Quando ho sentito la storia di Desmond Doss, il primo obiettore di coscienza a ricevere la Medaglia d’Onore degli Stati Uniti, sono rimasto stupito dalla portata del suo sacrificio. Era un uomo che, nel modo più puro, disinteressato, e quasi inconsapevole, aveva rischiato più volte la propria vita per salvare la vita dei suoi fratelli.” ha dichiarato Mel Gibson a proposito del film.
Desmond Doss (Andrew Garfield) è un outsider, incompreso, rifiutato e perfino perseguitato dai suoi stessi commilitoni. Cresciuto in Virginia, l’infanzia di Ross è segnata dalla sofferenza del padre (Hugo Weaving), reduce della Prima Guerra Mondiale, che sembra continuare a perseguitarlo come un incubo infinito, cui sa sfuggire solo attraverso l’alcool. Desmond invece sceglie la fede, diventando un devoto avventista del settimo giorno. Ma dopo Pearl Harbor, decide di arruolarsi. è convinto di poter servire la sua patria senza rinunciare ai suoi ideali: per questo, si offre come operatore medico, a patto di non dover mai toccare un’arma. Durante l’addestramento il Sergente Howell (Vince Vaughn), i superiori e i compagni cercano con ogni mezzo, leale o sleale, di indurre Desmond a lasciare l’esercito. Ma il soldato Doss è pronto ad affrontare anche il carcere e la corte marziale, senza mai rinnegare la sua fede: vuole partire per il Giappone, ma non userà mai un’arma. La sua ostinazione lo porterà a Okinawa, sulla scarpata di Maeda, nota anche come Hacksawe Ridge. Si tratta di una scarpata di 120 metri, la cui cima è difesa strenuamente dai giapponesi con mitragliatrici, colpi di mortaio, cecchini ed esplosioni continue. Gli americani cercano inutilmente da settimane di conquistare l’ultima roccaforte della resistenza. In questo inferno Desmond Doss resisterà un giorno e una notte interi, trascinando in salvo 75 soldati feriti, destinati altrimenti a morire sul campo. Il suo contributo è determinante per la conquista di Hacksaw Ridge, e il suo incredibile coraggio salverà la vita anche di quei compagni che avevano rifiutato il suo messaggio.
Con La Battaglia di Hacksaw Ridge Gibson torna alla quintessenza del suo cinema, capace di restituire come un’esperienza fisica tutta la disperazione e la furia di una battaglia decisiva. Ma per lui, evidentemente, non c’è contraddizione in un film che deve la sua forza alla spettacolarizzazione della guerra, mentre celebra un eroe cristiano e il suo messaggio per la vita.
Se il film deve tutto al realismo delle sue lunghe e dettagliate sequenze di morte e distruzione (che hanno garantito a Gibson di tornare tra i candidati all’Oscar per il Miglior Film e la Miglior Regia), il suo protagonista è pronto anche a sacrificare la vita per la sua fede. La parola chiave, ancora una volta, è sacrificio: nelle parole di Desmond Doss non c’è mai nulla contro la follia della guerra. Al contrario, la guerra appare come un passaggio ineluttabile, cui un patriota non può sottrarsi. Soltanto, il suo dovere di cristiano è attraversarla testimoniando la sua fede.
Quello di Gibson è ancora un volta un esempio di eroismo portato agli estremi, senza domande né sfumature. La sua regia è anche questa volta un’aggressione audiovisiva ininterrotta, che relega lo spettatore in uno stato di acritica sottomissione.
Si tratta di una scelta regista deliberata: con lo stesso meccanismo che ha funzionato efficacemente per La passione di Cristo, Gibson punta tutto sulle inquadrature dal basso verso l’alto, e il punto di vista di un uomo a terra, sovrastato dalla violenza. Inoltre, Mel Gibson per La Battaglia di Hacksaw Ridge ha voluto ottenere sul set, in particolare per le esplosioni, il massimo del realismo e il minor uso possibile di effetti realizzati in post-produzione.
Il risultato è un film spettacolare ma anche profondamente illogico, che indulge un po’ troppo sulla violenza per essere la celebrazione di un obiettore di coscienza.
Soprattutto, il grande eroismo di Desmond Doss si traduce nell’ostinata affermazione della sua diversità, della sua fede, ma è semplicemente un’affermazione individuale, che non discute lo status quo: una innocente fiaba, che non disturba la retorica della guerra.
La battaglia di Hacksaw Ridge di Mel Gibson è atteso nelle nostre sale per Giovedì 2 Febbraio. Il caso vuole che sia la stessa data di uscita di un film diametralmente opposto: Billy Lynn – Un giorno da eroe di Ang Lee. Laddove Mel Gibson si affida agli schemi collaudati dell’epica e alla spettacolarità della violenza, Ang Lee arriva a fondo, indagando lo smarrimento di un ragazzo, che ha scelto la divisa solo per mancanza di alternative, e recita la parte dell’eroe come un copione privo di significato.
Hacksaw Ridge di Mel Gibson e Billy Lynn di And Lee sono due esempi di cinema agli antipodi. Se gli Oscar hanno smaccatamente ignorato il film di Lee, noi vi consigliamo di scegliere il coraggio del suo punto di vista, capace di cogliere il lato oscuro del nazionalismo americano, e l’intensità di un’opera che sceglie di raccontare un essere umano, piuttosto che la facile beatificazione dell’ennesima figurina di celluloide.