Dopo diversi lavori come sceneggiatrice – tra i quali La gabbia dorata e Año bisesto, entrambi presentati nelle categorie collaterali al Festival di Cannes – Lucia Carreras gira il suo primo lungometraggio, firmando sia la regia che lo script. Tamara y la Catarina è ascrivibile al nuovo, florido, cinema “sociale” messicano, divenuto famoso nei primi anni duemila grazie a film come Amores Perros di Inarritu o al road movie di Cuaron, Y tu mama tambien. A differenza dei suoi colleghi, tuttavia, la regista di Città del Messico sceglie una strada classica, lineare, rigida e fedele più al cinema neo-realista che a quello sperimentale. Tamara y la Catarina è un prodotto girato e scritto in modo essenziale, con la telecamera perennemente al servizio degli attori e della storia come nei lavori di Ken Loach. Lo stile, purtroppo, è anche il limite della pellicola; la mancanza di guizzi in regia o di colpi di scena nello script rende la visione del film una semplice attesa di un momento centrale che ci viene suggerito, più volte, fino a che non accade, senza sorprese o colpi di scena.
Tamara è una donna affetta da ritardo mentale che vive da sola in una degradata periferia messicana. Nonostante suo fratello Paco la aiuti come può finanziariamente, essa si reca ogni mattina a lavorare in una caffetteria. Durante una normale mattina, nel tragitto da casa al luogo di lavoro, trova una bambina abbandonata, che presto ribattezza come “coccinella” e decide di portarla a casa ed accudirla. La sua vicina, la signora Meche, decide di aiutarla ad accudire la bambina, nonostante sappia che la polizia non esiterebbe ad arrestare Tamara per rapimento se venisse a conoscenza del fatto.
La trama, come lo “statuto” del cinema realista vuole, è il mezzo attraverso il quale si può mostrare la condizione politico-sociale di un paese. La parabola di due donne volutamente emarginate e lasciate fuori dalla società è una dichiarazione più politica che cinematografica. In particolare la regista si concentra sugli ambienti e sui luoghi, come la casa della protagonista, uno spazio di una stanza con un bagno senza acqua corrente e il chiosco traballante della signora Meche che per continuare a lavorare è costretta a pagare diverse tangenti ai poliziotti. Analogamente Amat Escalante raccontava la criminalità e lo stato di povertà e di difficoltà dei messicani in Heli, passato a Cannes nel 2013. Entrambi i film raccontano quelle zone di cui non si vuole parlare, dove abitano coloro di cui lo stato non vuole prendersi cura e che volutamente isola, similmente a ciò che Foucault raccontava nei suoi quaderni a proposito degli “anormali” e degli “straordinari”.
Il film cade per la sua troppa voglia di raccontare l’ambiente circostante, la società, la periferia messicana e il mondo povero di Città del Messico. La conseguenza di questo è che lo script non ha sorprese e nemmeno colpi di scena, tutto si svolge come ci aspettiamo, nell’attesa dell’atto finale. Un peccato.

Lucca 2017: Tamara y la Catarina, la recensione in anteprima
In concorso al Lucca Film Festival e Europa Cinema un film messicano sul rapimento di una bambina da parte di una donna affetta da ritardo mentale.