Il maso altoatesino dove Albert vive con gli anziani genitori è sospeso tra le vette, le nuvole e i boschi dell’Alpe. Il paesaggio sembra fatto di velluto ma forse solo per chi idealizza una vita bucolica. Nella parete esterna, all’entrata, un Cristo in croce a dimensione naturale, ma quel luogo non è un santuario, o forse lo è per gli antropologi o per gli ecologisti. Per gli abitanti del maso, invece, al crocifisso si può anche sparare perché forse è il simbolo dell’asprezza del vivere, della rinuncia, della sofferenza, del dolore, della causa delle valanghe vere e metaforiche che li hanno travolti. Per loro no, quelle stanze non sono un santuario; sono semplicemente il loro mondo immobile, solitario, isolato che li costringe ad un eremitaggio controvoglia e forse contro natura. Un luogo dove niente è possibile ma tutto è possibile, anche nascondere la morte di un congiunto a causa di un incidente domestico. Albert (Andreas Lust) ha trovato lavoro a valle, in una cava di marmo, e sua madre (Ingrid Burkhard) non vuole che il figlio scopra che il padre (Hannes Perkmann) è morto perché desidera per lui un futuro migliore lontano dal maso; il legame con i genitori è ancora forte e se scoprisse che la madre è rimasta sola di certo non l’abbandonerebbe. Quindi la donna sotterra il corpo di suo marito e con il figlio trova continui pretesti per giustificarne l’assenza. La situazione stringerà Albert nella morsa di sentimenti contrastanti, che dovrà gestire insieme alle difficoltà sul lavoro e all’attrazione per Paola (Orsolya Tòth), una giovane donna ungherese.
Die Einsiedler – The Eremites è un film duro, ruvido e ordinatamente scomposto così come i suoi personaggi. Presentato nella sezione Orizzonti alla 73a Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, è il primo lungometraggio di finzione del giovane regista e sceneggiatore di Bolzano Ronny Trocker, autore precedentemente di short e documentari. E’ un film paziente e che richiede molta pazienza da parte dello spettatore. Non ci sono scene mirabolanti e i momenti “decisivi” ai fini della storia arrivano a contarsi a malapena sulle dita di una mano. Ma è forse proprio questo l’aspetto più interessante della pellicola, quello di far maturare lentamente, pazientemente appunto, la presa di coscienza che darà il via alle azioni e alle scelte dei protagonisti, e quindi trasferirla allo spettatore. Per arrivare a ciò il regista si avvale di un’interessante messa in scena che prevede inquadrature altrettanto lente e lunghe che riescono a dare il senso dello spazio. Uno spazio non solo temporale e metafisico ma anche e soprattutto fisico-ambientale di un Paradiso che diventa una prigione, bello da vedere in cartolina, per un servizio fotografico e per una escursione ma devastante per chi ci vive. Un Paradiso dove la mungitura delle mucche non è la meraviglia del bambino in gita scolastica nella fattoria didattica ma un assordante fastidio corporeo e mentale, un male necessario. Un Paradiso dove muoiono uomini e animali ma la natalità è solo degli animali.
I personaggi di Die Einsiedler – The Eremites non hanno il piacere del linguaggio verbale perché ognuno di loro conosce il non detto degli altri e se una cosa la sai “perché chiederla?”. Quello di Ronny Trocker è un cinema delle immagini, anche se un confine sottile divide il corso della storia con la necessità del regista di dare alle sue inquadrature forma estetica e funzionale al progetto visivo; ognuno potrà valutare. E comunque la location di Lasa e della Val Venosta è meravigliosa. La regia è da manuale
Venezia 73: la recensione di Die Einsiedler – The Eremites
Il regista Ronny Trocker presenta nella sezione Orizzonti un film duro, ruvido, portato avanti con il linguaggio delle immagini.