The Whale, film la cui trama ruota attorno alla vita di un uomo patologicamente obeso interpretato da Brendan Fraser, segna il ritorno dietro la macchina da presa di uno dei più visionari e sfaccettati talenti del cinema contemporaneo: Darren Aronofsky. Il regista di Madre!, Il Cigno Nero e Requiem for a Dream stavolta mette in scena un dramma straordinariamente intimo e teatrale, ispirandosi all’omonima pièce del 2012 scritta da Samuel D. Hunter – che firma anche lo script di questo adattamento cinematografico.
A far brillare il film sono sicuramente la superlativa performance di Brendan Fraser (La Mummia), che domina con maiuscolo talento una gamma emotiva vastissima, e quella della giovane Sadie Sink (Max in Stranger Things, Fear Street), che arricchisce di mille sfumature una parte non facile da gestire. Il cast di attori che troviamo ad affiancarli non è però da meno: eccellenti in particolare le prove Hong Chau (The Menu, Downsizing) e Samantha Morton (la precog di Minority Report ma anche Alpha in The Walking Dead), mentre bravo ma con margini di miglioramento il quasi sconosciuto Ty Simpkins (Jurassic World) – forse l’unica scelta di casting rivedibile.
Il titolo di The Whale, la cui traduzione è «la balena», fa riferimento in modo figurato alla mole del protagonista ma anche al romanzo Moby Dick di Herman Melville (il cui titolo completo è Moby Dick, or The Whale), più volte citato in modo diretto e indiretto nella pellicola. The Whale, presentato in concorso al Festival di Venezia e in corsa ai premi Oscar 2023 con 3 nomination, è stato portato al cinema in Italia da iWonder Pictures il 23 febbraio e ancora non si sa quando arriverà in streaming sul mercato italiano. Oltreoceano il lungometraggio porta il blasonato marchio di A24 – alla prima collaborazione con Aronofsky.
THE WHALE, LA TRAMA DEL FILM
Charlie (Brendan Fraser) è un professore d’Inglese, ma le sue lezioni si svolgono solo via Zoom e a telecamera spenta. L’uomo infatti si vergogna di essere un obeso patologico dal peso di oltre 270 kg ed è ormai immobilizzato in casa propria, dove vive isolato dal mondo e con la sola assistenza dell’amica Liz (Hong Chau). Dietro questa spirale di autodistruzione e reclusione c’è un trauma del passato, ma quando arriverà a fargli visita la problematica figlia Ellie (Sadie Sink), che aveva abbandonato 8 anni prima, il protagonista intravedrà la possibilità di fare finalmente qualcosa di buono della propria vita.
THE WHALE È UNA STORIA VERA? ECCO A CHI È ISPIRATO IL FILM
The Whale è una storia vera? La domanda è legittima, perché nonostante la natura chiaramente artefatta della narrazione – che condensa molteplici snodi in pochissimo tempo e ancor meno spazio – le vicende raccontate sono in fin dei conti verosimili. D’altronde guardando il disastro che è diventata la vita di Charlie viene facile pensare a quelle «vite al limite» che sfilano davanti al dott. Nowzaradan in un celebre reality sul canale del digitale terrestre Real Time.
The Whale è un film di finzione, eppure l’elemento biografico è nettamente presente. L’autore del dramma teatrale nonché sceneggiatore della pellicola Samuel D. Hunter, infatti, ha molti punti in comune col protagonista: ha vissuto a Moscow in Idaho, ha insegnato saggistica alla Rutgers University, è dichiaratamente omosessuale e in passato ha sofferto di gravi disturbi alimentari. Questo fa di The Whale un film solo parzialmente autobiografico.
DARREN ARONOFSKY E QUELLA SERA AL TEATRO
L’opera teatrale The Whale, presentata in un festival in Colorado nel 2012, è arrivata subito off-Broadway. È lì che Darren Aronofsky si è innamorato della pièce, rimanendo per sua stessa ammissione folgorato per come fosse finito ad appassionarsi in pochissimo tempo a una galleria di personaggi per i quali non avrebbe mai creduto di poter provare empatia.
Il drammaturgo Hunter, che ha già all’attivo diversi copioni televisivi (tra cui quelli della serie TV con Zach Galifianakis Baskets), qui si ritrova per la prima volta a scrivere un film e una certa difficoltà ad adattarsi ai tempi della settima arte è evidente. Difatti, escludendo il finale e pochi altri passaggi, la storia per il grande schermo è quasi identica a quella per il palcoscenico. Non c’è nessun vero libero adattamento, nessuna volontà di sfruttare il mezzo provando ad aprire la trama o a smussare alcuni simbolismi: è sostanzialmente una trasposizione quasi pedissequa. Con i limiti che ne derivano.
UN BRENDAN FRASER DA OSCAR SOTTO IL COSTUME DI THE WHALE
Che The Whale sia sostanzialmente un one-man show è piuttosto evidente; d’altronde la struttura stessa della pellicola ruota attorno al fulcro del protagonista, più di quanto accada nella maggior parte dei film. Brendan Fraser è stato lontano dalle scene per anni a causa di una sfortunata serie di problemi: un grave infortunio, la prolungata assenza dai set e un difficile divorzio lo hanno portato alla depressione e a problemi di peso, i quali hanno finito per tagliarlo del tutto fuori da Hollywood. Con la pellicola di Aronofsky arriva quindi la sua occasione di riscatto ed è evidente come colga con grazia e intensità la rara opportunità di un ruolo che lo spinge ben oltre ogni sfida attoriale precedente.
Nonostante sia sepolto sotto il gigantesco costume stampato in 3D dal make-up artist Adrien Morot (The Lighthouse, M3gan), la qualità della performance che ci regala l’attore di Indianapolis traspare indiscutibile. Col suo vocione potente e gentile e quella fragilità che filtra disperata dagli occhi, Fraser sembra nato per The Whale, tanto da far pensare che nessun altro avrebbe potuto incarnarne meglio di lui il protagonista.
UN POLIZIESCO BRASILIANO, IL ‘TALENTO SEGRETO’ DEL REGISTA DI THE WHALE E GEORGE CLOONEY
Eppure per molto tempo Aronofsky non aveva neanche lontanamente pensato a Fraser per la parte. Dopo quella folgorazione dalla poltroncina di un teatro, infatti, il regista di The Wrestler e L’Albero della Vita – The Fountain ha passato un decennio a cercare di produrre il film, cercando senza successo un attore giusto per il ruolo. Almeno finché non si è imbattuto per caso nel trailer di un mediocre crime brasiliano del 2006 (Journey To The End of the Night) e si è ricordato dell’esistenza di Fraser.
Aronofsky ha sempre avuto un fiuto particolare per gli attori, riuscendo a immaginarli in ruoli diversissimi da quelli cui ci avevano abituati in carriera, e cercando allo stesso tempo un’autenticità di fondo – è successo anche con Mickey Rourke, Mila Kunis, Jennifer Lawrence o Michelle Pfeiffer, per fare solo alcuni esempi. La scommessa sull’eroe de La Mummia è fortunatamente vinta e non possiamo che felicitarcene, soprattutto se pensiamo che siamo stati vicini a vedere al suo posto il comico britannico James Corden, considerato dalla produzione come protagonista quando associato alla regia c’era ancora il nome di Tom Ford (Animali Notturni) ed era ormai sfumato quello di George Clooney (The Midnight Sky).
IL MARCHIO DI FABBRICA DI ARONOFSKY: IL ‘BODY HORROR VERISTA’
Nel cinema di Darren Aronofsky, che pur spazia con disinvoltura tra l’onirico e il naturalista, il tema del corpo umano è una costante che ricorre spesso. In una sorta di strana declinazione verista del body horror, la trasformazione della carne è in sé un incubo, senza che sia necessario immaginare deformazioni fantascientifiche.
Il corpo in Aronofsky è spesso una trappola: scavato da anfetamine e droga (Requiem for a Dream), logorato dagli infortuni (The Wrestler), minacciato dalla propria naturale scadenza (The Fountain), trascinato in terreni sconosciuti dalla gravidanza (Madre!), spinto all’estremo dall’ossessione (Il Cigno Nero) o deturpato dal cibo (The Whale). Nel film con Brandan Fraser questa sensibilità è particolarmente evidente, con Charlie intrappolato da membra che non può fare a meno di accrescere continuando a mangiare senza sosta. Ma tra i tantissimi spunti offerti dal film la grave obesità non è certo il più importante.
DI COSA PARLA DAVVERO THE WHALE? I TEMI NASCOSTI DEL FILM
Pur nella loro insistenza pornografica sul «disgusto» di un uomo ridotto a un ammasso inerme di grasso, Aronofsky e Hunter inondano la storia di tematiche e suggestioni parallele, facendone una sarabanda vagamente caotica di questioni esistenziali. Nel rapidissimo susseguirsi di personaggi che si alternano davanti al divano del protagonista (che di certo funzionava benissimo sulle assi teatrali ma che risente di una certa innaturalezza sul grande schermo) abbiamo modo di riflettere su una sterminata moltitudine di temi.
Ci sono la questione del decadimento fisico e quella della salute mentale, l’identità sessuale e la discriminazione, il valore dell’insegnamento e quello della sincerità, la perversione della fede e le dipendenze, la generosità e l’egoismo, la necessità di un retaggio e la paura della morte. Addirittura troviamo la questione dei rapporti umani mediati da uno schermo, ormai così legata all’esperienza della pandemia eppure qui calata in un contesto antecedente (siamo nel 2016, come si intuisce da un servizio televisivo sulle primarie del partito repubblicano statunitense).
Insomma, le troppe idee sono croce e delizia del film. The Whale risente infatti di un evidente affastellamento di argomenti ed è proprio questo a renderlo un’opera incredibilmente intensa e al contempo un po’ troppo confusa e forzata.
MOBY DICK, OR THE WHALE: COSA SIGNIFICANO LE CITAZIONI DEL LIBRO DI MELVILLE?
Sin dalla scena di apertura, in cui Charlie manifesta il sorprendente desiderio di farsi leggere l’estratto di un ‘saggio’ su Moby Dick, è esplicito il parallelismo tra il film di Aronofsky e il libro di Melville. Non si pensi però che l’allegoria sia legata alla stazza del protagonista (anche se ovviamente sussiste pure questa coloritura semantica): i veri temi che legano The Whale e il celeberrimo romanzo sul cetaceo albino sono quelli della perdita e dell’ossessione. Anzi, per molti versi The Whale è un saggio in forma di film su Moby Dick.
Herman Melville, maestro del movimento letterario chiamato Rinascimento Americano, scrive il suo capolavoro prendendo spunto dall’affondamento della baleniera Essex nel 1820 dopo lo scontro con un Capodoglio e dall’uccisione nel 1830 del capodoglio albino soprannominato Mocha Dick. In realtà, però, nella storia l’autore lascia confluire tutte le riflessioni maturate nei suoi anni come marinaio sulla baleniera Acushnet lungo le rotte del Pacifico meridionale (precedentemente testimoniati nel racconto Typee e nel suo seguito Omoo). Le pagine di Moby Dick, grondanti di digressioni di carattere enciclopedico, sono solo superficialmente una storia avventurosa ma in realtà propongono una lettura profonda della natura umana.
THE WHALE E «IL LIBRO MALVAGIO»
Come scrive Melville in una sua lettera del 17 novembre 1851 all’amico e collega romanziere Nathaniel Hawthorne, «ho scritto un libro malvagio e mi sento immacolato come un agnellino». Perché, a dispetto del trascendentalismo degli autori coevi e del proprio dichiarato panteismo, lo scrittore impuntura Moby Dick con un pessimismo legato alla natura intrinsecamente cattiva dell’uomo. La stessa che nel film il personaggio di Mary attribuisce alla figlia Ellie.
Il Capitano Achab, che fa della caccia alla balena bianca la propria ossessione, non è solo un uomo vendicativo ma è un uomo vittima di un impulso autodistruttivo che lo consuma. Come recita il libro a proposito del personaggio, nella traduzione di Cesare Pavese: «La Balena Bianca gli nuotava davanti come la monomaniaca incarnazione di tutte quelle forze malvagie da cui certi uomini profondi si sentono rodere nell’intimo». Eppure da quello stesso testo filtra anche una lotta per il predominio tra bene e male, e in filigrana addirittura un allora indicibile amore omosessuale multietnico (proprio come quello di Charlie e Alan nel film) che fiorisce nel duro contesto della baleniera Pequod.
Parliamo della ‘amicizia speciale’ tra Ishamel, narratore che chiede espressamente di esser chiamato con un nome di origine biblica che rimanda alla condizione di esule e ripudiato (proprio come Ellie nel film), e Queequeg, eroico ramponiere di origine polinesiana e dal profondo sentimento religioso.
seguono spoiler sulla trama e il finale di The Whale
THE WHALE, LA SPIEGAZIONE DEL SIGNIFICATO DEL FILM
È proprio in questo interstizio tra pessimismo e fiducia nell’umanità, inquietudine e bisogno di riscatto, pura cattiveria e accoglienza, che sta il più interessante fulcro tematico di The Whale. In un passaggio estremamente significativo del film, un dialogo recita «I don’t think that anyone can save anyone» («non credo che nessuno possa salvare qualcuno»). La spiegazione del significato più profondo della pellicola con Brendan Fraser sta proprio in una riflessione sul senso del fare qualcosa per gli altri e per se stessi.
Alla fine di The Whale, nonostante le terribili azioni compiute da molti dei personaggi, la domanda che risuona nelle orecchie passa per la voce di Charlie: «Do you ever get the feeling that people are incapable of not caring?» («Non hai mai la sensazione che le persone siano incapaci di non prendersi cura degli altri?»).
In una cornice di amore come accettazione che sfocia a volte in un controverso rispetto della volontà di autodistruzione, The Whale ricorda anche un meraviglioso film del 1995 con un Nicholas Cage mai più così talentuoso, Via da Las Vegas. Nel lungometraggio di Mike Figgis la dipendenza con cui il protagonista sceglieva di uccidersi era dall’alcol e non dal cibo, e l’amore stava sia nel rispettare il corrosivo dolore altrui che nel cercare di mitigarlo. I punti di contatto non mancano.
COSA SUCCEDE ALLA FINE DI THE WHALE? LUI MUORE? LA SPIEGAZIONE DEL SENSO DEL FINALE SULLA SPIAGGIA
Se il significato del film è ricco di sfumature ma piuttosto evidente, meno immediato è il significato del finale di The Whale, che richiede qualche spiegazione. Cosa succede nel finale di The Whale? Il protagonista muore? Perché si solleva e vola?
Il finale di The Whale film è diverso da quello dell’opera teatrale, nella quale a un lungo respiro seguiva un lungo momento di buio. Nella pellicola di Darren Aronofsky vediamo infatti un crescendo emotivo in cui Ellie anziché chiamare un’ambulanza asseconda il desiderio del padre di sentirla leggere il proprio tema di quand’era bambina, mentre l’uomo, facendo appello alle ultime forze, si trascina pachidermico fino alla porta, probabilmente andando incontro a un collasso cardiaco fatale. È lì che, in un momento dal sapore decisamente kitsch ma di grande efficacia, i piedi del protagonista si sollevano misticamente da terra, mentre assistiamo alla visione di una spiaggia.
IL FINALE DI THE WHALE: FINISCE BENE O MALE? PERCHÉ LUI SI SOLLEVA DA TERRA?
Quel flashback sulla riva del mare, un ricordo dell’ultima volta che ha nuotato e in cui era ancora con la sua famiglia, è un momento di poco precedente al crocevia che ha cambiato le vite di tutti. Un momento in apparenza quasi perfetto, tanto da poter essere fraintendibile come un finale nettamente positivo. Ma non è un lieto fine, e anzi quella scena cela un messaggio decisamente pessimista. Il momento cui torna con la mente il protagonista è quello che precede il disastro inevitabile; che precede una scelta che in ogni caso avrebbe comportato la disperazione di Mary ed Ellie o quella di Charlie e Alan.
Lo sceneggiatore Samuel D. Hunter – che non aveva scritto questo finale e che l’ha scoperto quando Aronofsky l’ha apportato in sala di montaggio – in un’intervista al Los Angeles Times ha fornito una spiegazione del significato del finale e del senso di quell’ultima scena. «Alla fine abbandoniamo il realismo, non ci interessa più la storia di un uomo nel suo appartamento. (…) Quello che conta è che lui è finalmente connesso con Ellie, che è ciò che prova a fare per tutta la storia. (…) È l’apice del film e Charlie letteralmente si solleva dal suolo.». Charlie muore? «Non è necessariamente rilevante». Alla fine, in riva al mare, torniamo a un momento del passato in cui c’è «un uomo che guarda dritto dentro l’abisso dell’auto-realizzazione e contempla la decisione che deve prendere e le diverse strade che ha davanti». Questo perché a volte, qualunque sia la nostra scelta, tutto è destinato ad andare in rovina.
IL GIUDIZIO FINALE SU THE WHALE: COSA FUNZIONA E COSA NO
In conclusione The Whale è un film ricchissimo di stratificazioni, pessimista ma dolcissimo, e che si presta a innumerevoli livelli di lettura. È inoltre costruito su un discorso letterario di grande qualità e offre prove attoriali maiuscole. È certamente commovente e più che meritevole di esser visto e rivisto, eppure non è un film perfetto.
The Whale non è un film perfetto perché innanzitutto è schiavo della forma teatrale, dalla quale lo sceneggiatore non riesce a distanziarsi con la necessaria elasticità e che al contempo relega Aronofsky a soluzioni registiche meritoriamente asciutte ma anche poco ispirate. Ci sono troppi elementi che si incastrano perfettamente, troppe coincidenze, troppe risoluzioni: il cinema ha bisogno di più apertura, più ‘respiro’, più non detto.
Inoltre non è un film perfetto anche perché, per quanto l’insistito sguardo su quel corpo deforme e sudato non sia il centro della storia, rimane comunque un elemento ricattatorio che repelle ma al contempo chiede compassione a ogni inquadratura. Non è un film perfetto perché la profonda metafora che lo lega al libro di Melville si rivela nella sua completezza solo a uno spettatore molto preparato, mentre ai più arriverà solo un accostamento un po’ banale alla balena di Moby Dick. Non è un film perfetto perché, per quanto Aronofsky sia esperto nel trasformare il kitsch in elemento che apporta ricchezza a una pellicola, quel finale dal sapore retorico e vagamente melenso avrebbe funzionato molto meglio su un palcoscenico che al cinema. Infine, non è un film perfetto nemmeno dal punto di vista tecnico, perché il direttore della fotografia Matthew Libatique fa troppo affidamento sulle capacità di ripresa con poca luce della sua Sony CineAlta Venice, decidendo di trascurare completamente l’illuminazione del set e ottenendo così un digitale incredibilmente debole e slavato, inondato in post di grana artificiale per dargli una parvenza di pellicola.
Nonostante tanti limiti, in fin dei conti, sentiamo però il bisogno di aggiungere che un film non dev’essere per forza perfetto, non dev’essere necessariamente la migliore versione possibile di sé per essere apprezzato. Probabilmente per molti versi The Whale è proprio il film che ci si aspetta di vedere quando si entra in sala, eppure opere di assoluta qualità come questa sono patrimoni che dobbiamo tenerci molto stretti. Anche se non fatichiamo a individuarvi qualche difetto. The Whale è un dramma asciutto e dolce sulle cose cattive che finiamo per farci l’un l’altro anche quando in realtà vorremmo tutti solo prenderci cura di chi amiamo. Un’opera perfettibile ma assolutamente da non perdere.