Gli Anelli del Potere (The Lord of the Rings: The Rings of Power), serie in streaming su Amazon Prime Video ideata da J.D. Payne e Patrick McKay, segna il ritorno sullo schermo del mondo high fantasy creato da J.R.R. Tolkien con Il Signore degli Anelli, a quasi 20 anni dalla trilogia cinematografica originale di Peter Jackson e a otto dalla chiusura di quella de Lo Hobbit.
Gli Anelli del Potere (The Rings of Power), con un investimento da parte di Jeff Bezos di oltre 715 milioni di Dollari, è la serie TV più costosa della storia. Una scommessa ciclopica e – col senno di poi – a dir poco avventata. Nonostante la prima stagione sia stata un vero evento, nonostante l’hype che l’ha preceduta, nonostante investimenti pubblicitari fuori scala e nonostante l’indubbia spettacolarità, lo show si è dimostrato un disastro indegno dei capolavori della letteratura e del cinema con cui prova a misurarsi. Ciò principalmente a causa di una scrittura oltremodo grossolana e dei pesantissimi limiti imposti dagli accordi sullo sfruttamento del materiale d’origine.
GLI ANELLI DEL POTERE (THE RINGS OF POWER): SAURON, LA SECONDA ERA E IL LEGAME CON IL SIGNORE DEGLI ANELLI
Il Signore degli Anelli – Gli Anelli del Potere (The Rings of Power) è ambientata nella Seconda Era della Terra di Mezzo e gli eventi inaugurati da questa prima stagione narreranno l’ascesa di Sauron e la forgiatura dei venti anelli del potere. In questa fase iniziale si configurano le razze, le alleanze e i confini geopolitici per come diverranno nella Terza Era – quella raccontata ne Il Signore degli Anelli che tutti conosciamo.
La struttura multilineare, tra vecchi nomi e nuovi volti
Nonostante i millenni che separano le due compagini narrative, però, non mancano personaggi in comune: la longevità portentosa di alcune creature immaginate da Tolkien trascende infatti la visione umana del tempo e così abbondano i trait d’union, a partire dalla protagonista Galadriel. È proprio lei, nel suo arrivo a Numenor, il focus di una delle quattro diramazioni della struttura multilineare della storia, che segue anche ciò che accade agli uomini nelle Terre del Sud, il rapporto tra nani ed elfi e le vicende dei pelopiede (antenati degli hobbit).
Il volto dell’elfa, vera protagonista dello show, non ha più i lineamenti della talentuosissima Cate Blanchett, ma della purtroppo legnosa Morfydd Clark. Rispetto agli attori e a molti elementi iconografici delle due trilogie cinematografiche di Peter Jackson (Il Signore degli Anelli e Lo Hobbit) c’è infatti una netta discontinuità: non solo frutto di un’evidente disparità di talento ma anche requisito previsto espressamente dagli accordi di cessione dei diritti ad Amazon di elementi del franchise.
GLI ANELLI DEL POTERE, OVVERO COME INVENTARSI UNA SERIE AVENDO I DIRITTI (QUASI) SOLO DELLE APPENDICI DE IL SIGNORE DEGLI ANELLI
Quando infatti nel 2017 Amazon acquisì i diritti parziali legati alla saga de Il Signori degli Anelli, gli eredi di J.R.R. Tokien erano appena usciti da una lunga causa contro la Warner Bros. (proprietaria della New Line Cinema) in cui era in questione quali libri potessero essere usati in quali media. Raggiunto un accordo, la Tolkien Estate fu quindi libera di vendere a Jeff Bezos i diritti televisivi delle sole appendici di The Lord Of The Rings e di quanto accennato ne Il Signore degli Anelli e ne Lo Hobbit a proposito della Seconda Era. Poco più di un centinaio di pagine divise tra Annali di Re e Governatori, Il Calcolo degli Anni, Alberi Genealogici, Celendario della Contea, Scrittura e Pronunzia e Notizie Etnografiche e Linguistiche, nella quali Tolkien accenna – tra le altre cose – agli antefatti alla storia principale. A queste aggiungiamo canzoni come La Caduta di Gil-galad e Il Canto di Eärendil, elementi dai capitoli Il Concilio di Elrond e L’Ombra del Passato e la sezione del prologo Riguardo agli Hobbit.
L’investimento record di Amazon per una rischiosissima fan-fiction di lusso
Per una cifra record di 250 milioni di dollari e l’impegno a produrre una serie in streaming su Prime Video di 5 stagioni sull’ascesa di Sauron, con un possibile spin-off, il CEO di Amazon è riuscito così ad avere la meglio sulle proposte rivali di HBO e Netflix. Parte dell’accordo, la supervisione e avallo delle scelte creative di Amazon da parte di Tolkien Estate, Tolkien Trust, HarperCollins e – in una certa misura – New Line Cinema.
Il Signore degli Anelli – Gli Anelli del Potere (The Rings of Power) non è quindi un vero e proprio adattamento di Tolkien. Anziché essere ispirato a un libro di Tolkien in particolare, è basato solamente su una manciata di pagine scritte dall’autore inglese. Il che significa che le frammentarie seppur abbondantissime indicazioni dello scrittore costituiscono solo un canovaccio lacunoso che gli sceneggiatori integrano in modo essenziale. C’è quindi molta, moltissima, farina del sacco degli showrunner e del loro team di autori nell’inventare gli eventi che ricollegano nodi narrativi intoccabili (i quali però qui spesso vengono bellamente snaturati), tanto che Gli Anelli del Potere propone una storia per molti versi ‘nuova’ e tutt’altro che canonica, ai limiti della fan-fiction.
PERCHÉ GLI ANELLI DEL POTERE (THE RINGS OF POWER) È COSÌ DIVERSA DAI FILM DI PETER JACKSON?
Sin dall’inizio, una delle possibili criticità de Gli Anelli del Potere (The Rings of Power) era non solo il fatto che gli sceneggiatori dovessero ‘competere’ col genio di Tolkien intessendo di fatto una storia in molte parti non scritta, ma anche che dovessero discostarsi per contratto dai film di Peter Jackson.
Nonostante la New Line Cinema fosse coinvolta nella produzione in modo di consentire ad Amazon di includere riferimenti a specifici elementi della saga cinematografica senza incorrere in problemi legali, di fatto la serie Prime Video non è un prequel dei film, ma è ambientata formalmente in un universo narrativo separato. Tale vincolo legale è emerso quando la produzione era già allo stadio avanzato, e questo spiega perché il pluripremiato regista neozelandese delle trilogie, nonostante fosse inizialmente stato interpellato per una sua possibile consulenza, poi non sia più stato ricontattato. Ciò spiega anche alcune scelte estremamente controverse, come le acconciature degli elfi in totale discontinuità con l’immaginario dei film di Jackson.
GLI ANELLI DEL POTERE (THE RINGS OF POWER): LA SERIE PIÙ COSTOSA DELLA STORIA PARTE DA PREMESSE DISASTROSE
Il Signore degli Anelli – Gli Anelli del Potere (The Rings of Power) nasce quindi come un colosso dai piedi d’argilla: la serie TV più costosa della storia (la prima stagione, diritti esclusi, è costata 465 milioni di Dollari) è basata su un materiale d’origine a dir poco limitato e fumoso, deve avere l’approvazione di una moltitudine di parti in gioco e deve distanziarsi dall’immaginario di una delle saghe cinematografiche più amate della storia e dai libri di cui non ha i diritti.
Come se non bastasse, deve relazionarsi con uno spinoso universo fatto di razze estremamente tipizzate – con una rumorosa comunità woke pronta a denunciare e boicottare ogni sfumatura percepibile come politicamente scorretta. E deve inoltre misurarsi con due fan-base decisamente polarizzate: quella dei libri di Tolkien e quella dei film di Jackson. E deve rivaleggiare con l’eredità televisiva di Game of Thrones e col recente House of the Dragon (l’obiettivo di Bezos è dichiaratamente sempre stato questo), giustificando al contempo le impennate del costo degli abbonamenti Prime con cui il CEO mira a controbilanciare i macroscopici investimenti sostenuti.
Lo straordinario potenziale de Gli Anelli del Potere (The Rings of Power) affidato a due showrunner che sono dei novellini
Nonostante ciò, il potenziale de Gli Anelli del Potere (The Rings of Power) era ovviamente straordinario: una mitologia consolidata e straordinariamente ampia, un franchise amatissimo dal pubblico, dei veri capolavori della letteratura e del cinema come punti di riferimento, uno dei più grandi villain di sempre da approfondire e la possibilità di raccontare una Terra di Mezzo familiare ma nuova: non ancora irrimediabilmente corrotta, ma brulicante di vita e culla di fiorenti regni d’ogni sorta.
Nelle mani dei giusti showrunner sarebbe potuta diventare oro puro. Ma Bezos, probabilmente con l’ottica aziendale di chi non vuole dover combattere anche con le esigenze di sceneggiatori esperti pronti a puntare i piedi per difendere la propria visione, fa un errore esiziale: decide di affidare la scrittura e lo show-running della produzione streaming più grande della storia a due sceneggiatori che sono totali esordienti senza alcuna esperienza – e peraltro dal talento a dir poco modestissimo.
GLI ANELLI DEL POTERE, OVVERO COME STUPRARE TOLKIEN E CALPESTARE IL ‘SIGNORE DEI DONI’
Alla luce di quanto detto, qual è l’unica stella polare che avrebbe dovuto e potuto guidare i creatori de Il Signore degli Anelli – Gli Anelli del Potere (The Rings of Power)? Semplicemente il fatto che c’era un pubblico di partenza che, pur non aspettandosi una fotocopia dei film né avendo un libro specifico come riferimento assoluto, aveva le idee estremamente – estremamente – chiare sulle coordinate narrative. E sono quelle marchiate a fuoco nel nostro immaginario dall’epigrafe Tolkeniana al libro de Il Signore degli Anelli o dall’introduzione del film de La Compagnia dell’Anello. Quelle su come Sauron ingannò i re degli elfi, dei nani e degli uomini.
Tolkien era razzista? Davvero ci scandalizziamo per l’elfo nero?
Qualcuno ha voluto far credere che il principale problema di fedeltà ai libri di Tolkien fosse nella scelta di un cast multietnico. In merito al melting pot di etnie che accomuna un po’ arbitrariamente ogni razza (elfi, nani, umani e così via) ne Gli Anelli del Potere sono sorte infatti infinite polemiche, talvolta razziste e talvolta molto legittimamente filologiche. Sarebbe però la più trascurabile delle questioni, in tale contesto, nonché il modo meno preoccupante in cui eventualmente snaturare la visione di Tolkien – che al contrario di quanto si voglia far credere narra comunque di una «terra di mezzo» in cui popoli nettamente distinti e diversi finiranno per unirsi e incontrarsi all’insegna della fratellanza e del mutuo soccorso.
Certo, ci sono molte buone ragioni per credere che nel vastissimo mondo di Arda, in cui i popoli quasi mai si mischiano e sono estremamente legati alla provenienza geografica, sia improbabile trovare ovunque contesti multietnici. Ma la volontà palesemente pedagogica di proporre un più che auspicabile modello di società aperta la si perdona volentieri. Il senso di pluralismo non è forzato, a differenza di quanto accade in tante produzioni contemporanee, e se l’approccio color blind subentra presto con naturalezza, le vere unioni tra ‘razze’ cui vale la pena di dare peso sono altre: parliamo dei momenti di incontro e amicizia elfi e nani, elfi e umani, pelopiedi e maiar. Certo, per qualche motivo gli uruk orchi, nell’interrogatorio di Galadriel ad Adar, sembrano gli unici indegni di un posto al mondo e meritevoli di una pulizia etnica in piena regola; ma questo è un altro discorso.
SEGUONO SPOILER
LA SCONSIDERATA PRESUNZIONE DI FARE UNA SERIE SU SAURON RISCRIVENDO SAURON
Il punto è: di cosa dovrebbe mai narrare una serie che s’intitola Gli Anelli del Potere? Una cosa su tutte gli spettatori avrebbero voluto vedere. La storia di come un ainu caduto, essere multiforme, quasi eterno e di indicibile malvagità – Sauron – si presentò agli elfi sotto le mentite spoglie di Annatar, un elfo dall’aspetto potente ma dal portamento elegante e regale («a commanding figure of great strength of body and supremely royal demeanour and countenance»), di altissima statura («a man, or one in man’s shape, but greater than any even of the race of Numenor in stature») e dall’aspetto incantevole, armonioso («as a fair a form and countenance as he could»). Una figura capace di ispirare esseri illuminati come gli elfi di Eregion (pur tra la diffidenza di alcuni), di elargire il proprio sapere a creature ai limiti dell’onniscienza; tanto sottile da riuscire a manipolare per tre secoli individui che vivono da millenni e da persuaderli con l’inganno a forgiare 19 anelli magici per soggiogare tutti i regni. In breve, la storia di colui conosciuto nei libri come il «Signore dei Doni».
Tutto quel che ci si aspettava era un minimo di rispetto dei capolavori tolkieniani, insomma; senza dubbio le più grandi opere di epica dell’era moderna nonché pietre miliari della letteratura fantasy e non solo. Una comprensione almeno basilare delle caratteristiche che contraddistinguono le genti di Arda, le coordinate chiave del mito dell’Unico Anello e la dovuta deferenza che porta a non stravolgere l’essenza di opere immortali della letteratura. E invece sappiamo come è andata a finire. Il Signore degli Anelli – Gli Anelli del Potere (The Rings of Power) è un guazzabuglio in cui l’antagonista è sostanzialmente del tutto irrilevante sullo sviluppo della storia e in cui la protagonista è forse l’eroina più stupida e ottusa che il piccolo schermo ricordi.
GLI AMERICANI, GLI ELFI BULLI E LE EROINE STEREOTIPATE
Era troppo aspettarsi uno script che rispecchiasse la complessità e l’eleganza del mondo di Tolkien? Evidentemente sì, lo era. Era chiedere troppo a quel tipo di Americani con la sensibilità di chi non ha una storia ma ha la convinzione di poter riscrivere il passato e dettare il presente («I’m afraid of Americans», cantava Bowie). Un paradosso, se pensiamo a quanto la poetica di Tolkien e l’identità britannica fossero legate a doppio filo.
Le idee confusissime da cui germoglia quel caos intitolato Gli Anelli del Potere sono evidenti sin dall’apertura del primo episodio. Un’introduzione sciatta e priva di ogni ambizione o solennità, in cui la manifesta incapacità di comprendere l’essenza del mondo tolkieniano va di pari passo all’urgenza politicamente corretta di sbandierare che la protagonista incarna il tropo hollywoodiano della donna forte™. In questo prologo, ambientato in un tempo di sola luce in cui non era ancora nato alcun male, un bimbo elfico stronzo come pochi bullizza senza motivo la nostra eroina ancora fanciulletta, la quale però non si perde d’animo e dopo averlo schienato come una wrestler è pronta a prenderlo a cazzotti – sì, davvero. La rozzezza di questa Caporetto firmata Amazon è già tutta qui, in questo trionfo di incomprensione delle pagine tolkieniane, e con l’andare degli episodi non farà che peggiorare.
GALADRIEL, LA STOLTA
È proprio questa nuova lettura action oriented di Galadriel – volitiva e guerriera più che mai, ma non certo sveglissima – uno dei problemi più ingestibili di The Rings of Power. Ovviamente nessuno pretende non ci possa essere una certa libertà nel reinterpretare personaggi noti, un po’ come avevano fatto proprio Jackson e i suoi ad esempio con la Arwen Undómiel di Liv Tyler. Il requisito per ogni riscrittura sarebbe però ovviamente quello di non peggiorare sensibilmente il materiale di partenza.
La gallese Morfydd Clark, che ci aveva conquistati nel Saint Maud di A24, qui però deve fare i conti con un physique du rôle forse penalizzato dal suo volto un po’ arcigno, con una direzione degli attori i cui limiti si riverberano su tutta la serie e con una gamma emotiva probabilmente insufficiente per interpretare un personaggio tanto tridimensionale come la Dama di Lórien.
Neanche la più dotata delle attrici potrebbe però compensare quella che è una delle più imbarazzanti scritture di un personaggio principale di cui abbiamo memoria. Come richiedono i nuovi standard hollywoodiani, Galadriel è una donna forte. Ma nel modo più ‘sbagliato’, quello che fraintende la prepotenza con la forza. Un modo in cui forse solo due uomini (di scarsissimo talento) avrebbero potuto immaginarla.
GLI ANELLI DEL POTERE, LA SPIEGAZIONE DI UNA PROTAGONISTA SCRITTA COI PIEDI
Galadriel non primeggia nell’incantamento ma dovrebbe essere particolarmente forte nel fisico a dispetto dell’altezza di 1,60m (nei libri, altissima, era detta Nerwen, la ragazza-uomo). È una spadaccina penosa eppure si atteggia a maestra dell’arma bianca, è impulsiva ai limiti della follia, ottusamente testarda ed egoista, superficiale, vagamente razzista, è manipolatoria nel nascondere i propri errori, saccente e pretenziosa ai limiti dell’insopportabile, indisponente anziché diplomatica, vendicativa, e soprattutto stupida a livelli preoccupanti. Dopo secoli a cercare Sauron in giro per Arda ignora comunque la geografia basilare dei luoghi in cui è stata, ci mette centinaia d’anni a interpretare un simbolo il cui significato gli spettatori avevano già capito alla prima puntata, si getta in acqua convinta di poter affrontare una nuotata intercontinentale come nulla fosse e soprattutto le pare normale che nel bel mezzo dell’oceano si imbatta per caso proprio nell’erede al trono delle Terre del Sud.
Di quel naufrago e sedicente (ma neanche troppo) erede al trono ovviamente diverrà la manutengola pur senza avergli mai rivolto parola in merito al suo passato, alle sue motivazioni o anche solo alle circostanze del naufragio. E quando invece dovrà affrontare Sauron, atavica e incontenibile minaccia al mondo intero, lo farà come una quindicenne penserebbe di poter affrontare un bisticcio col fidanzatino.
Per qualche misterioso motivo la Galadriel de Gli Anelli del Potere (The Rings of Power) è un’ebete totale, una vera offesa al genere femminile. Eppure, per qualche misteriosa ragione, tutti gli uomini che incontra sono ancora più stupidi di lei e pendono dalle sue labbra come bambini lobotomizzati.
IL SIGNIFICATO DI HALBRAND, UN SAURON CHE NON SERVE ASSOLUTAMENTE A NIENTE
La presenza più deludente dell’intera serie non è l’elfa, bensì Sauron, l’antagonista e luogotenente di Morgoth, la cui ombra cupa dovrebbe scendere sulla Terra di Mezzo. Protagonista di un ridicolo siparietto di false rivelazioni e telefonatissimi colpi di scena (previsti da chiunque alla prima apparizione dei personaggi in questione), il villain è al centro di un arco narrativo completamente diverso da quello dei libri. Non è un elfo, non si chiama Annatar, non inganna i residenti di Eregion per tre secoli, non partecipa alla forgiatura degli anelli magici e, soprattutto, è totalmente ininfluente su quel che gli succede attorno.
Il personaggio di Halbrand sembra aver scritta sul volto la propria losca inaffidabilità, pare scegliere un basso profilo ma poi pesta senza un vero perché dei numenoreani, si inventa un alias facilissimo da smascherare contando sul fatto che alla tarda Galadriel ci vorranno comunque otto puntate per pensare di fare una chiamata di controllo agli uffici dell’anagrafe elfica, dà un paio di vaghissimi consigli – in parte fuori scena – a un sorprendentemente inetto e immotivatamente anziano Celebrimbor (che pare un direttore di banca più che un fabbro elfico) e infine, dopo una scenetta girata con i piedi in cui dal nulla si suggerisce una possibile intesa sentimentale con la Dama dei Boschi, sparisce senza torcere un capello a chi l’ha scoperto e potrebbe rivelarne la natura. Quindi, in forma umana semplicemente s’incammina dentro Mordor. Quando lo sappiamo tutti che «one does not simply walk into Mordor».
Il delirio più assurdo dello script de Gli Anelli del Potere (The Rings of Power)
Il dato più risibile è però che, se anche Halbrand non si fosse mai appalesato, nulla sarebbe cambiato. Come accadeva a Indiana Jones ne I Predatori dell’Arca Perduta, il personaggio non sposta di una virgola eventi che sarebbero avvenuti comunque: Galadriel sarebbe lo stesso tornata nella Terra di Mezzo per dare la caccia a Sauron (senza cavare un ragno dal buco), lo Straniero sarebbe piombato dal cielo e i Pelopiede l’avrebbero comunque aiutato, le sacerdotesse nere sarebbero in ogni caso andate incontro alla sconfitta, Arondir avrebbe comunque adottato strategie militari molto discutibili contro gli orchi, Adar avrebbe ‘terraformato’ Mordor, Míriel avrebbe consultato il Palantir, Durin avrebbe aiutato Elrond, Isildur sarebbe stato inutile come lo è nel finale (in cui non viene nemmeno citato) e Celebrimbor avrebbe ugualmente finito per creare un singolo artefatto magico – facilitando peraltro il piano di Sauron rispetto alla forgiatura di ben tre anelli che si controbilancino tra loro. Altro che grande manipolatore: nella prima stagione della serie TV su come Sauron abbia fatto creare gli anelli del potere, Sauron è ininfluente da ogni punto di vista.
L’evento più importante della serie poi, la forgiatura degli anelli (o di 3 di essi), avviene distrattamente in una decina di minuti nella puntata finale, senza tante cerimonie e senza alcuna solennità. La gravità è solo quella di una regia a dir poco latitante (a firma del mediocre Wayne Yip) e di una forgiatura che parte da un pugnale di oro, argento e perle, facendo sbellicare dalle risate anche il più improvvisato dei fabbri. I veri antagonisti della serie, è chiaro, sono gli sceneggiatori.
PERCHÉ DUE DILETTANTI SONO DIVENTATI GLI SHOWRUNNER DELLA PIÙ COSTOSA SERIE TV DI SEMPRE? LA SPIEGAZIONE
Come hanno fatto gli screenwriter Patrick McKain e John D. Payne, che come unica esperienza hanno una collaborazione secondaria e nemmeno accreditata a Star Trek: Beyond, a diventare dal nulla gli showrunner della ‘più grande’ serie TV di sempre? La storia ha dell’improbabile, e ha a che fare col modo in cui i due si siano saputi vendere trovandosi al posto giusto nel momento giusto.
Quando Amazon cercava di chiudere definitivamente gli accordi con il Tolkien Estate per i diritti televisivi, i due – senza saperlo – si sono presentati ad Amazon con un pitch che corrispondeva esattamente all’idea che avevano in mente gli eredi dello scrittore. Arrivando a ottenere in tempi brevissimi un incontro direttamente con Bezos e Simon Tolkien, e senza alcuna contezza di quali fossero i punti della trattativa in corso, i due hanno presentato il concept di un’epopea televisiva di 50 ore ambientata interamente nella Seconda Era, peraltro preparandosi numerose citazioni di Tolkien e dimostrando di saper parlare elfico (almeno per il minimo indispensabile utile a far presa sugli interlocutori).
Una sintonia d’intenti che ha portato frettolosamente Amazon non solo a opzionare il soggetto, ma anche a vincolare i due con il ruolo di produttori esecutivi. Un matrimonio a prima vista i cui risultati sono sotto gli occhi di tutti.
La spiegazione finale del perché abbiamo Halbrand al posto di Annatar: «Nel dubbio, segui i soldi…»
Se l’inesperienza spiega le scelte creative incredibilmente grossolane degli sceneggiatori, però non ci spiega del tutto perché il Tolkien Estate abbia accettato di avallare una serie in cui al posto di Annatar, il Signore dei Doni, abbiamo Halbrand, il tizio che non conta. Quando però in un’indagine non si riesce a venire a capo dei colpevoli, vale sempre il principio del «segui i soldi».
A tale proposito, vale la pena di far presente che l’unico modo in cui Amazon avrebbe potuto fare la serie sarebbe stato senza includere Annatar, proprio perché quel nome non appare mai ne Il Signore degli Anelli né tantomeno nelle sue appendici, mentre viene citato esclusivamente ne Il Silmarillion e nei Racconti Incompiuti di Numenor e della Terra di Mezzo – di cui Amazon non ha i diritti. Gli showrunner ovviamente non possono che rivendicare la creazione di Halbrand come scelta creativa, ma quel che possiamo supporre è che gli eredi di Tolkien, pur di incassare i famosi 250 milioni di Dollari dell’accordo sulle appendici di Lord of the Rings, si siano dimostrati più che disposti ad avallare il totale calpestamento dell’opera del loro avo. Speriamo di sbagliarci, ma è proprio quello che sembra.
GLI ANELLI DEL POTERE (THE RINGS OF POWER) È TUTTA DA BUTTARE? NO. ANCHE SE IL FINALE…
Quando parliamo del disastro che si è rivelata Gli Anelli del Potere (The Rings of Power), lo facciamo dando per scontato il fatto che stiamo parlando di uno show ad altissimo valore produttivo. A dispetto di ogni legittima e asperrima critica, e pur con qualche momento dal sapore sorprendentemente amatoriale, gli occhi vengono comunque rapiti dalle lusinghe di scenografie mozzafiato, da mondi e creature esotiche, dall’ammaliante tema principale firmato da Howard Shore. Gli Anelli del Potere (The Rings of Power) rimane un prodotto di grande fascino che, in qualche modo, non si riesce a non guardare. Un vero evento, un appuntamento cui nonostante tutto non abbiamo mai sentito di poterci sottrarre.
Detto questo, lo script non è certo l’unico problema dello show. La regia è quasi sempre modesta ed estremamente televisiva, il ritmo soporifero, i costumi e le acconciature tutt’altro che eccellenti, i VFX altalenanti tra l’ottimo e il dilettantesco, i dialoghi raggelanti.
Il cast multietnico, tra grandi sorprese e interpretazioni deludenti
Il casting, che come detto immagina popolazioni sempre multietniche per svincolare Amazon da critiche al presunto razzismo di Tolkien, segna ottimi colpi con l’Elrond di Robert Aramayo (pur dai lineamenti tutt’altro che elfici), lo straniero (Gandalf, quasi sicuramente) di Daniel Weyman, la principessa Disa di Sophia Nomvete e l’Adar di Joseph Mawle. Menzione a parte per Lloyd Owen, che sembra nato per interpretare Elendil.
Attori di talento, insomma, non mancano. Purtroppo alcuni dei ruoli principali scricchiolano non poco: la pur generalmente brava Morfydd Clark (Galadriel) qui proprio non riesce a spiccare il volo e Ismael Cruz Córdova (Arondir) ha un grande carisma che di certo gli garantirà una promettente carriera, ma vanta un’interpretazione legnosa quanto la sua armatura.
LA SPIEGAZIONE FINALE DE GLI ANELLI DEL POTERE (THE RINGS OF POWER): COSE SENZA SENSO, NOIA E AVIDITÀ
Come già anticipato, è però una scrittura indegna ad essere l’insanabile peccato originario de Gli Anelli del Potere (The Rings of Power), piagata com’è da forzature, scelte arbitrarie, dialoghi infami e soluzioni tra il pigro e l’incoerente.
È così che Galadriel può non capire nulla di ciò che le accade intorno ma sopravvivere in qualche modo a una nube piroclastica dalla quale nemmeno prova a ripararsi, che qualche rivolo d’acqua basta a far esplodere un vulcano che non smetterà mai di eruttare per millenni, che fino al finale le sacerdotesse non si pongono mai il problema di capire se stanno seguendo Sauron o un istar, che meteor-man può recitare battute degne di Maccio Capatonda come «Io sono… buono!», che un’erborista può improvvisarsi leader di battaglia senza che nessuno abbia da ridire, che un elfo decide di far crollare l’unica torre che avrebbe potuto fornire riparo ai fuggitivi, che tre navi numenoreane in croce possono in qualche modo ospitare 500 guerrieri e i loro cavalli.
Il patto di sospensione dell’incredulità, se vi fosse una storia scritta e raccontata in modo davvero appassionante, permetterebbe ovviamente di accettare le situazioni più assurde. Davanti a Gli Anelli del Potere, però, di incredibile c’è soprattutto il fatto che Amazon abbia fallito così clamorosamente una scommessa per cui tutti tifavano. Lo showbiz è, per definizione, un grandissimo business anche quando parliamo di prodotti di assoluto valore artistico; ma Bezos vorrebbe propinarci un prodotto senz’anima la cui unica ragione d’esistere è la speculazione economica. Eppure Tolkien ci aveva messo in guardia da come i grandi re degli uomini potessero finire accecati dall’avidità.
(recensione di Luca Ciccioni e Aldo Pisano)