Thirst, horror drama del 2009 disponibile in blu-ray Midnight Factory – Koch Media, è uno dei film meno noti del celeberrismo Park Chan-wook, già regista – tra gli altri – di Old Boy, Lady Vendetta e Mademoiselle. Vincitore del premio della giuria al 62° Festival di Cannes, il film trae ispirazione dal romanzo Teresa Raquin di Émile Zola. Interprete principale della pellicola è Song Kang-ho, attore feticcio di Bong Joon-ho (Memories of a Murder, 2003; The Host, 2006; Snowpiercer, 2013; Parasite, 2019) e comparso anche in un cameo per Park Chan-wook in Lady Vendetta (2005).
DI COSA PARLA THIRST? DAL TRAMA DEL FILM COREANO SU UN SACERDOTE VAMPIRO
Sang-hyun (Song Kang-ho) è un prete cattolico che, dopo un’esperienza sospetta di morte e resurrezione, viene celebrato come un santo guaritore. Quando le sue condizioni di salute ritorneranno precarie, inizierà però a manifestare una strada tendenza al vampirismo.
THIRST: PARK CHAN-WOOK, I VAMPIRI E L’HORROR DI CONFINE
Thirst è un horror polivalente che si muove fra il romanticismo profano, la fede e il vampirismo. Non c’è da stupirsi se il recente Midnight Mass di Mike Flanagan abbia molte affinità con il film del regista sudcoreano, di cui rievoca la stessa tematica tracciando un sottilissimo confine fra sacro e profano. Thirst, come l’intera opera di Chan-wook, è un film paradossale e dissacrante.
Thirst si configura anche come un dramma atipico e inquietante, che arriva a intrecciare i toni della musica sacra con gemiti erotici. La condizione del protagonista parte dal mutamento corporeo, dalla sete insaziabile e incontrollabile che, di riflesso, genera il dramma interiore e i relativi contro-effetti etici
TRAMONTI E SANGUE IN THIRST: LA POETICA DELLA DISSONANZA
Thirst si inquadra in una cornice in cui fotografia e sonoro stemperano i toni orrorifici, rievocando nell’ambientazione una serenità improbabile – data la cornice di sangue e violenza. Chiunque abbia avuto qualche contatto con i principali capitoli della filmografia di Park Chan-wook sa però come la sua poetica sia tutto meno che rassicurante, proprio perché caratterizzata da una costante destituzione dei tabù e dalla messa in scena di una violenza che è sovente anche autolesionistica.
IL SIGNIFICATO DI THIRST È NELL’INCONTRO FRA ANIMALITÀ E SOPPRESSIONE ETICA
Thirst è specchio di questa realtà autoriale. Una mescolanza perturbante di immagini che combinano erotismo, vampirismo, sangue, malattia e morte. Una amalgama già connaturata con il mito dei non morti emafagi, ma che nel regista coreano trova un’ulteriore risonanza. A questa irrevocabile tendenza animalesca, tenta di contrapporsi però la vocazione etica sublimata nella fede sacerdotale del protagonista. È l’istinto che domina in Thirst, irrefrenabile, incontrollabile che marionetta il corpo più del giudizio etico.
LA SVOLTA ROMANTICA DI THIRST HA LE RADICI IN ÉMILE ZOLA
Su questo potente filtro tematico, Chan-wook costruisce un secondo percorso da romantic-drama: la storia d’amore tra il prete e Tae-ju, moglie del suo amico. Thirst, così, presenta come ulteriore intreccio: l’idea di una relazione malata, quanto irreprensibile. Proprio come succede nel romanzo di Zola, l’amore è ostacolato dalla presenza di un terzo incomodo. Questo è destinato a essere oggetto sacrificale di una passione distruttiva e moralmente cieca.
PARK CHAN-WOOK RACCONTA L’IRRAZIONALE
Dunque, queste le due linee narrative in cui la sete (da cui il titolo) è punto nevralgico. Thirst, alla luce di quanto detto, è insieme esigenze fisiologica e depravazione, bisogno e gola, amore e tradimento, sacro e profano, vita e morte.
Nonostante questa oscillazione deplorevole e che genera una giusta impressione di ribrezzo, Thirst è imbevuto di amore romantico e di una perversa ricerca di coerenza. Park Chan-wook, così, racconta l’accettazione della condizione umana, prendendo spunto dal valore contraddittorio e perverso della mortalità, in un insolito vampire movie da vedere assolutamente.