A Classic Horror Story, film Netflix con Matilda Lutz (Revenge), Will Merrick, Yulia Sobol (I Figli della Notte), Francesco Russo (Classe Z) Peppino Mazzotta, vede il ritorno dietro la macchina da presa di Roberto De Feo dopo l’apprezzato debutto con The Nest (2019). Stavolta, a condividere i crediti per la regia, troviamo come suo pari Paolo Strippoli.
CINQUE SCONOSCIUTI “ON THE ROAD” SI IMBATTONO NELL’ORRORE FOLKLORISTICO DELL’ITALIA MERIDIONALE
A Classic Horror Story vede protagonista Elisa (Matilda Lutz) e altre quattro persone – una coppia (Yuliia Sobol, Will Merrick), uno studente di cinema (Francesco Russo) e un medico (Peppino Mazzotta) – dirette in Calabria su un camper, ognuno per motivi differenti. Un incidente notturno per evitare la carcassa di una animale morto, il risveglio in una radura e una casa inquietante faranno precipitare i cinque viaggiatori in un incubo degno del più classico degli horror.
A CLASSIC HORROR STORY: LEGGENDE E TERRORE DELL’ITALIA MERIDIONALE
Il terreno in cui affonda le radici il soggetto è quello del sano folklore popolare. La storia di Osso, Mastrosso e Carcagnosso è il topos leggendario che costituisce l’elemento verosimile dello script. Questa ricerca assennata di uno riferimento non pienamente soprannaturale è la vena ispiratrice che guida De Feo nella riscrittura di un genere, rimodulando l’uso dei cliché per omaggiare l’horror movie classico, e mettendolo in comunicazione pur con i dovuti distinguo con l’opera di Ari Aster (Hereditary, 2018; Midsommar, 2019) e Robert Eggers (The Witch, 2015; The Lighthouse, 2019) – e forse da Midsommar pare anche attingere troppo. Stesso dicasi per l’antropologia culturale come spazio di confine utile a ricentrare l’horror sulla linea sottile fra il reale e l’immaginario.
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DE FEO, STRIPPOLI E LA PROVOCAZIONE AL CLASSICO DI GENERE
A Classic Horror Story– come recita il titolo stesso – è un po’ un omaggio, un po’ un tentativo di stravolgimento. Da buon discepolo, De Feo tenta un superamento dei maestri del genere, provando con una nuova grammatica. Qui, le mani di De Feo e Strippoli alla regia rendono più o meno allineato l’intreccio con la mise en scène. Le ambientazioni oscure, la fotografia stretta, il sonoro sospeso, la sirena alla Silent Hill, il forte uso del rosso a contrasto con il buio, le geometrie definite (con una maison dell’orrore che somiglia molto a quella vista in Gretel e Hansel) presentano uno sguardo di regia che regge un’architettura cinematografica tendente al nuovo. Non mancano gli stereotipi, qui necessari per poter essere superati. Il film di De Feo e Strippoli, infatti, ricorda anche un po’ The Texas Chainsaw Massacre (1974), un po’ La Casa (1981), un po’ The Village (2004).
A CLASSIC HORROR STORY E LA LOGICA DELL’INGANNO NARRATIVO
De Feo e Strippoli si mostrano audaci e anche provocatori in un titolo in cui è ridondante l’idea del classico. Carpenter, Argento, Cronenberg si scorgono fra gli influssi. Qui vengono adottati, per essere abbandonati. Dal classico espediente del road movie con svolta horror, alle donne che fuggono urlando, alla presenza di maschere inquietanti, tutto fa pensare a un genere da oltrepassare. Per farlo, A Classic Horror Story opera su un doppio livello. Su un primo livello, narrativo, si ha la svolta finale nello script – operazione di sceneggiatura che costringe alla rilettura della narrazione e che De Feo aveva già mostrato in The Nest. Secondariamente, su un livello meta-narrativo, quello stesso plot twist (ripetuto più di una volta) serve a uscire fuori dai canoni classici, quasi come a voler indicare un simbolico stravolgimento, un voltar pagina rispetto alla cinematografia horror classica.
IL SUD-ITALIA DI DE FEO E STRIPPOLI E L’USO DEL VEROSIMILE
A Classic Horror Story è un film che non gioca sulla polivalenza del significato, ma decide di fornire una chiave di lettura forte che scade nel moralismo esplicito. Certamente, la “presa in giro” di De Feo e Strippoli è un modo per dire che l’orrore si cela nei risvolti della realtà e non c’è bisogno di metafisica, ossia di andare a cercarlo nel soprannaturale. Questo è possibile proprio attingendo da quell’immenso bacino di narrazione che è il folklore mescolato con le forme più oscure della realtà umana. Come si diceva, infatti, la scelta del verisimile coincide con il recupero dei miti popolari, di cui la storia di Osso, Mastrosso e Carcagnosso diventa emblema. Tre fratelli dai quali sarebbe nata l’attuale criminalità organizzata nel sud Italia: Cosa Nostra, ‘Ndrangheta, Camorra. Tra l’altro, De Feo e Strippoli scelgono per le riprese Puglia e Lazio, nonostante la storia sia ambientata in Calabria, con annesso uso dei dialetti.
A CLASSIC HORROR STORY INCIAMPA NON POCO RISPETTO A THE NEST
I problemi non mancano e sono anche molti. Nonostante l’apprezzabile sforzo di ricostruire il cinema horror. Nonostante gli spostamenti metafilmici che coinvolgono direttamente lo spettatore, De Feo e Strippoli rimangono incastrati nella trappola orrorifica che hanno costruito con così tanta diligenza. Sarà forse l’inflazione, sarà il rimando forzato in senza meta-cinematografico con personaggi come Lorenzo (Francesco Russo), sarà la retorica che a un certo punto destabilizza lo script, ma qualcosa stona nel lavoro di De Feo e Strippoli. E c’è da dire che questo è un gran peccato, dati gli ottimi risultati di The Nest. A Classic Horror Story tira troppo la corda ed eccede. Questo eccesso, De Feo, ci spiace dirlo, forse non è stato in grado di guidarlo con la giusta destrezza. E di certo non bastano le note de “La Casa” di Endrigo per fornire un tocco di classe – anche se parzialmente funziona dato il tono disturbante del film.
IL PERICOLO DI REGRESSIONE DELL’AUTORIALITÀ DI DE FEO
In ogni caso, su questo confine fra reale e irreale tenta di muoversi A Classic Horror Story. Lo fa riprendendo le fila del classico, lo scompone, lo sviscera, lo prendere in giro, lo innalza e poi lo riscrive. Questo tentativo complesso, articolato, sicuramente rende onore a De Feo, ma mostra i limiti della creatività quando si mette troppa carne al fuoco. Da parte sua, ci si aspettava un lavoro autoriale che muovesse sempre più a maturazione, tale da instaurare un tacito patto fatto di promesse e fiducia con il pubblico. Speriamo che De Feo torni a essere più quello di The Nest, così intimo, raccolto, profondo e sorprendente, anziché quello claudicante di A Classic Horror Story.