Era il 2014 quando Quentin Tarantino sconvolse il mondo del cinema, dichiarando l’intenzione di concludere la propria carriera dopo aver girato il suo decimo film. I numerosi progetti a cui il cineasta è stato recentemente accostato (oltre ad un nuovo capitolo di Star Trek, si è parlato anche di un possibile sequel di Kill Bill) tuttavia hanno riacceso l’entusiasmo dei fan di tutto il mondo ma Tarantino ha smorzato gli animi confermando la volontà di volersi ritirare. Se l’ultimo lungometraggio sarà, con buona probabilità, un epilogo inusuale (nel corso di una recente conferenza stampa il filmmaker di Knoxville ha affermato di voler chiudere la sua filmografia con una pellicola horror), C’era Una Volta A… Hollywood (titolo originale Once Upon A Time In… Hollywood) rappresenta la chiusura del cerchio della poetica di uno degli autori contemporanei più influenti: il nono lungometraggio di Tarantino, che in Italia uscirà in sala il 18 settembre distribuito da Warner Bros Italia, è infatti la summa di un artista che ha cambiato come pochi altri il mezzo cinematografico.
LA BIZZARRA AMICIZIA TRA UN ATTORE E IL SUO STUNTMAN NELLA HOLLYWOOD DEL 1969
Rick Dalton (Leonardo DiCaprio) è un attore televisivo in declino che ha avuto il suo momento di gloria negli anni Cinquanta con i western e cerca in tutti i modi, grazie anche all’aiuto del suo miglior amico e stuntman Cliff Booth (Brad Pitt), di ritornare in auge; tra gli illustri vicini di casa di Dalton Sharon Tate (Margot Robbie), attrice e moglie del regista Roman Polanski, è una delle stelle più luminose ma la presenza di Charles Manson (Damon Herriman) e della sua Famiglia gettano un’ombra oscura nella Hollywood del 1969.
TUTTI I TÒPOI DI TARANTINO RACCHIUSI IN 161 MINUTI DI PURO AMORE PER IL CINEMA
C’era Una Volta A… Hollywood riassume perfettamente lo stile di Quentin Tarantino: nel corso dei 161 minuti del lungometraggio, che scivolano via piacevolmente, continui sono i riferimenti non solo alle pellicole che hanno ispirato il cineasta di Pulp Fiction e Kill Bill ma anche alle sue precedenti opere. Il film mescola generi diversi ma, se dobbiamo proprio essere precisi, l’ultima creatura di Tarantino è in primis un buddy movie, dato che il motore narrativo è il rapporto di amicizia sui generis tra Rick Dalton e Cliff Booth. I protagonisti, diversissimi ma complementari tra loro (mentre Booth è tranquillo e sicuro di sé, Dalton ha una personalità nevrotica e bipolare), sono due facce della stessa medaglia ovvero uomini che, di fronte all’inevitabile cambiamento della società e dell’industria cinematografica, cercano di ritornare ai fasti del passato (anche accettando ruoli negli spaghetti western italiani). Nonostante Leonardo DiCaprio e Brad Pitt stiano al centro della scena (i quali, grazie alle loro interpretazioni, possono ambire ad un premio importante nella prossima stagione degli award), Tarantino crea un universo variegato (basti guardare la lista degli attori coinvolti per comprendere la grandezza del progetto) per raccontare un’era gloriosa che non tornerà più. Certo, a prima vista alcuni personaggi secondari potrebbero sembrare monodimensionali (come la Sharon Tate di Margot Robbie o lo Steve McQueen di Damian Lewis) ma in realtà il geniale regista tratteggia il mondo che circonda Dalton e Booth proprio come se fosse un film del cinema classico americano.
Tecnicamente C’era Una Volta A… Hollywood è una delle migliori pellicole del cineasta californiano: la ricostruzione della Los Angeles del 1969 è incredibile e, per merito del lavoro del direttore della fotografia Robert Richardson, non solo si respira l’atmosfera di quegli anni (grazie anche ad una colonna sonora folgorante) ma rivivono sullo schermo quei film e quelle serie TV (riportate in vita con il digitale) che hanno forgiato l’immaginario giovanile di Tarantino. Il due volte premio Oscar, con la sua padronanza assoluta nella messa in scena, regala momenti comici assolutamente sensazionali e sequenze nostalgiche toccanti ma anche scene di grande tensione; se proprio vogliamo guardare il pelo nell’uovo, i rimandi ad alcune ossessioni dell’autore de Le Iene sono talvolta ridondanti però lo stile tarantiniano, più volte imitato da altri registi ma mai riprodotto nell’essenza dai suoi emuli, è talmente abbagliante da riempire il cuore dello spettatore.
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IL 1969 COME PUNTO DI SVOLTA NON SOLO DELLA STORIA MA ANCHE DEL CINEMA AMERICANO
Il 1969 è un anno importante non solo per Quentin Tarantino ma anche, più in generale, per la cultura americana. Dopo un periodo segnato da forti turbamenti, dall’omicidio Kennedy al movimento per i civil rights, gli USA stavano progressivamente conoscendo tanto l’impegno civile quanto una sempre più ineludibile perdita dell’innocenza, misurandosi con una serie di passaggi storici – dal Vietnam a quella presidenza Nixon che sarebbe poi sfociata nel Watergate. Hollywood non restava indenne, e rimanendo sconvolta dal suddetto contesto nonché dagli efferati delitti di Charles Manson e dei suoi seguaci, era protagonista della svolta creativa che, con pellicole come Easy Rider (ve ne abbiamo parlato qui), segnava la transizione dalla Golden Age alla Nuova Hollywood, filone che modificò radicalmente l’approccio autoriale dei giovani registi a favore di storie più adulte ed introspettive.
Per questo motivo il Tarantino nostalgico, cresciuto in quegli anni adorando i b-movie, qui gioca a plasmare una propria versione di quel periodo e – in modo non difforme da quanto già visto nella sua filmografia – si prende grandi libertà creative per recuperare quell’ingenuità e quella spensieratezza che hanno caratterizzato la sua gioventù (e che, inevitabilmente, hanno influenzato il suo percorso artistico).
IL SUCCESSO MONDIALE DEL “BRAND” TARANTINO COME ALTERNATIVA AL MONOPOLIO DEI FRANCHISE E DEI CINECOMIC
Dopo il caso che ha investito Harvey Weinstein (storico produttore del regista) nel 2017 Tarantino ha cambiato casa di produzione firmando per la Sony Pictures, che gli ha messo a disposizione un budget di ben 95 milioni di dollari. Grazie alle recensioni entusiastiche dal Festival di Cannes (dove il film è stato presentato in anteprima mondiale) e ad una efficacissima campagna marketing, C’era Una Volta A… Hollywood è stato il miglior esordio al box-office statunitense della carriera del filmmaker classe 1963 con un’apertura da 40 milioni nel primo weekend (la possibilità di battere il record ottenuto da Django Unchained, il suo maggior successo commerciale con 423 milioni incassati in tutto il mondo, è reale).
In un’epoca dove il mercato è cannibalizzato, dal punto di vista dell’attenzione mediatica e delle risorse economiche, dai franchise e dai cinecomic, il film di Tarantino rappresenta un’eccezione illustre. Il regista di Bastardi Senza Gloria è uno degli ultimi grandi autori in grado di portare in sala, indipendentemente dalle scelte di casting o dal soggetto del lungometraggio, un vasto pubblico mainstream. Il motivo principale? Un’idea di cinema coerente, radicale e senza compromessi, unita alla capacità di creare un universo narrativo immediatamente riconoscibile.
Nonostante la pellicola sia lontana dall’essere innovativa, C’era Una Volta A… Hollywood è un’opera monumentale in grado di riconciliare cinefili e non con la Settima Arte (sarà poi il tempo a dirci se l’ultimo lavoro di Tarantino avrà la stessa importanza dei suoi lungometraggi più importanti). Con l’auspicio che non sia una prova generale di testamento artistico ma un altro capitolo della straordinaria (e, speriamo, longeva) carriera di un genio del grande schermo.
LA RICCHISSIMA EDIZIONE BLU-RAY
Un film eccezionale merita un’edizione home video d’eccezione, e la Universal Pictures Home Entertainment ha saputo entusiasmare i fan di Tarantino con un’edizione DVD e Blu-ray ricchissima di contenuti speciali, tra i quali ben 7 scene inedite (per un totale di 20 minuti) e un esclusivo dietro le quinte. Inoltre, in esclusiva sulla versione BD, le featurette Lettera d’amore di Tarantino a Hollywood, Bob Richardson – per l’amore dei film, Conversazione di lavoro – le auto del 1969, Restaurare Hollywood – la scenografia di C’Era Una Volta a Hollywood e La moda del 1969. Il porting del video non ha alcuna sbavatura e ben rende la grana tipica del film senza perdere in definizione, mentre l’audio italiano è codificato in Dolby Digital 5.1. Il totale degli extra ammonta a 58 minuti totali.