Il musical, sul grande schermo, può ancora parlare a tutti? È ancora lecito aspettarsi che da un genere tanto anacronistico fiorisca un capolavoro capace di lasciare il segno nella storia del cinema? Se infatti a Broadway il musical gode di straordinaria salute – si pensi ad esempio all’incontenibile successo di Hamilton, uno spettacolo rap in costumi settecenteschi sulle origini degli Stati Uniti con cui Lin-Manuel Miranda è riuscito addirittura a conseguire un Premio Pulitzer per la drammaturgia – a Hollywood sembra diventato un contenitore standardizzato, capace di parlare – più o meno – sempre allo stesso pubblico di affezionati senza però riuscire mai a stagliarsi al di sopra di pellicole ben più autorevoli. Negli ultimi tre lustri infatti sono stati molti i film musicali a ottenere un buon successo di critica e pubblico (per citarne alcuni: Moulin Rouge!, Chicago, Sweeney Todd, Les Miserables, Mamma Mia, Across The Universe, senza contare una moltitudine di bio-pic in musica, i franchise per teenager e la maggior parte delle pellicole Disney), ma nessuno di questi ha saputo uscire dal proprio recinto e guadagnarsi un posto nel cuore di chi, come il sottoscritto, è piuttosto allergico tanto ai musical quanto ai film sentimentali. In breve, la golden age del musical cinematografico è ormai lontanissima e prima di La La Land in pochi avrebbero scommesso su un film musicale capace di diventare un fenomeno di culto e di essere unanimemente riconosciuto da critica e pubblico come un ‘capolavoro’.
1) LA LA LAND: IL MUSICAL CHE NESSUNO VOLEVA FINANZIARE
È forse per questo che dal 2010 Damien Chazelle cercava inutilmente di finanziare La La Land, collezionando una porta chiusa dopo l’altra e arrivando al massimo a raccogliere la ‘misera’ cifra di un milione di dollari da Focus Features per intercessione di Fred Berger e Jordan Horowitz, a fronte di un’ingerenza invasiva che avrebbe totalmente snaturato la sua idea di prendere un musical classico e ambientarlo in una realtà contemporanea in cui difficilmente le cose vanno come si vorrebbe. Ci sarebbe voluto lo straordinario successo di critica del suo Whiplash (2014) a convincere gli studios a dargli carta bianca e a portarlo quindi a confezionare un musical capace di prendere il volo al di fuori della propria nicchia e di diventare un instant classic, uno di quei film capaci di conquistare pressoché chiunque e di diventare una piccola pietra miliare che, ci scommettiamo, segnerà le vite di molti spettatori.
2) UN INNO A CHI “HA LA TESTA TRA LE NUVOLE”
La La Land è un tributo poetico a quei momenti della nostra vita in cui lasciamo che il sogno sia più forte dei duri colpi della realtà. Sin dal suo titolo il film di Chazelle svela la sua duplice natura: non tutti sanno infatti che La La Land è sia uno dei nomi con cui è conosciuta Los Angeles, spietata culla dell’illusione Hollywoodiana, sia un modo di dire che indica lo stare felicemente “con la testa tra le nuvole”. Ed è proprio a L.A. che si incontrano il percorso dello squattrinato pianista Sebastian (Ryan Gosling), che sogna di aprire un proprio jazz club per ‘puristi’ del genere, e quello dell’aspirante attrice Mia (Emma Stone), che ambirebbe al grande schermo ma a stento riesce ad arrivare a fine mese. Come nella miglior tradizione del musical il rapporto tra i due parte con contrasti che ricordano i cliché della screwball comedy, ma presto si evolve in un’intensità di quelle credibili e mai stucchevoli, capace apparentemente di sfidare anche le battaglie che sembrano già perse in partenza. Centoventotto minuti che nonostante costituiscano un costante omaggio alle pellicole degli ultimi sessant’anni (prendendosi anche piuttosto sul serio) sono capaci di una freschezza e di una contemporaneità rare. Il tutto percorso da una colonna sonora che non vi abbandonerà facilmente, quando usciti dalla sala vi ritroverete per giorni a fischiettare City of Stars.
3) I PROTAGONISTI ALL’INIZIO DOVEVANO ESSERE EMMA WATSON E MILES TELLER
La travagliata vicenda produttiva di La La Land ha visto il film attraversare numerose fasi e numerosi cambiamenti, che hanno coinvolto anche il cast principale. Nei panni dei protagonisti infatti dovevano inizialmente esserci Miles Teller (già in Whiplash), poi allontanatosi dal progetto, ed Emma Watson, che a causa dei ritardi di produzione ha scelto di girare La Bella e La Bestia abbandonando il musical di Chazelle. A subentrare nei ruoli di Sebastian e Mia una coppia dalla chimica straordinaria, che secondo il regista “oggi è quanto di più vicino ci sia alle coppie della vecchia Hollywood”, e che avevamo già visto sullo schermo in Crazy, Stupid, Love (2011) e in Gangster Squad (2013). Ryan Gosling ed Emma Stone non solo sono incredibilmente bravi nelle loro interpretazioni quanto nelle performance musicali, ma sono così credibili come coppia da trasportarci completamente nel rapimento vissuto dai loro personaggi. A restituirci però la magia dell’intesa tra i due sono soprattutto le memorabili canzoni di Justin Hurwitz, artefice del successo del film almeno quanto Chazelle e da sempre al suo fianco.
4) LA LA LAND NON È IL PRIMO MUSICAL JAZZ ROMANTICO DI DAMIEN CHAZELLE
La La Land non è il primo musical jazz di Chazelle e con le musiche di Hurwitz, ma di certo è il primo in CinemaScope. Quel che non tutti sanno infatti è che prima di vincere il Golden Globe con La La Land e puntare dritto all’Oscar, Damien Chazelle si era già cimentato con il genere: il suo primo lungometraggio Guy and Madeline on a Park Bench (2009) era infatti un musical jazz in cui, girando con una macchina a mano in bianco e nero, il regista e sceneggiatore dirigeva attori non professionisti su set rubati alla vita quotidiana e senza illuminazione cinematografica. Una pellicola indie caratterizzata da un’imbarazzante pochezza di mezzi e dal un linguaggio cinematografico ai limiti dell’analfabetismo, capace però di riscuotere più di un consenso da parte della critica e già caratterizzata dalle meravigliose musiche di Hurwitz, che elevavano su tutt’altro piano un lavoro interessante ma a dir poco pressappochista. In poche parole qualcosa di ben lontano dal piglio sicuro con cui Chazelle confeziona La La Land, regalandoci, oltre a riprese con una camera a mano decisamente meno incerta, elegantissimi piani sequenza e numeri musicali di straordinaria complessità coreografica, con i colori mozzafiato di Linus Sandgren e in tutta la gloria del CinemaScope.
5) LA LA LAND È UN ‘PLAGIO’ AMOREVOLE DEI MUSICAL DI JACQUES DEMY CON CATHERINE DENEUVE
La scelta di utilizzare le lenti anamorfiche tipiche delle pellicole tra il 1953 e il 1967 è tutt’altro che casuale. Con La La Land infatti Damien Chazelle fa una dichiarazione d’amore ai grandi musical, con un citazionismo ai limiti del feticista. I riferimenti che potremmo fare sarebbero molti, ma è impossibile non pensare al contesto Hollywoodiano in cui si sviluppano le vicende di Cantando sotto la pioggia (1952) con Gene Kelly e Debbie Reynolds o alla meravigliosa scena di ballo notturna, tra panchine e lampioni, di Spettacolo di varietà (1953) con Fred Astaire e Cyd Charisse, che Chazelle ripropone quasi pedissequamente anche nella location. L’influenza più ineludibile è però quella del francese Jacques Demy, tanto nella malinconia del bellissimo Les parapluies de Cherbourg, con Catherine Deneuve e il nostro Nino Castelnuovo, quanto nelle atmosfere jazz e coloratissime di Les demoiselles de Rochefort (in Italia, rimontato con mezz’ora in meno, Josephine), con la Deneuve e Gene Kelly, dal quale La La Land è a tratti quasi indistinguibile.
L’INSOSPETTABILE AMAREZZA CHE SALVA DAL ROMANTICISMO STUCCHEVOLE
In conclusione La La Land è un’operazione di grandissima eleganza che ci ricorda la magia dei grandi musical ma la mette al servizio di uno script tutt’altro che edulcorato. Se questo musical dal sapore vintage non eccede in originalità, di certo è però la pellicola giusta al momento giusto. Con la profonda – e a volte troppo evidente – consapevolezza di chi cerca un mix perfetto, Chazelle si ritrova a proporre qualche ammiccamento di troppo al grande pubblico, eppure, dopo la visione, è comunque impensabile tacciarlo di ruffianeria: il modo in cui tratta la difficile ricerca di un equilibrio tra l’ambizione artistica e quella sentimentale, tra l’azzardo e il rischio della sconfitta, è tutt’altro che scontato ed è il vero valore aggiunto che la sceneggiatura porta al tutto.
Il risultato sono poco più di due ore fuori dal mondo in cui vi sembrerà assolutamente normale che, tra un colpo e l’altro dell’oltraggiosa fortuna, i nostri si mettano a cantare e ballare. Due ore con la testa tra le nuvole: non un gran musical, un gran film.