Ci siamo: finalmente Arrival – uno dei lavori che più ci ha colpiti alla 73a Mostra D’Arte Cinematografica di Venezia – arriva nelle nostre sale. Un film sull’incontro con una civiltà aliena, ma al contempo un film sugli uomini e non sugli alieni.
La nuova pellicola di Denis Villeneuve infatti è un racconto incredibilmente ispirato e ambizioso che si candida a essere uno dei più importanti film di fantascienza degli ultimi decenni e che ha il coraggio di fare terra bruciata di ogni cliché per riscrivere da zero una delle tematiche più raccontate nella sci-fi.
La premessa del film è semplice e apparentemente abusata, di quelle capaci di fare i grandi numeri al box office ma anche di lasciare inizialmente perplesso chi potrebbe pensare di trovarsi di fronte all’ennesimo film su un’invasione extraterrestre: da un giorno all’altro appaiono, distribuite nei punti nevralgici del pianeta terra, 12 gigantesche astronavi aliene che fluttuano per giorni senza che al loro arrivo facciano seguito atti amichevoli o ostili da parte dei ‘visitatori’. Un’attesa metafisica e snervante cui si accompagnano il panico di una popolazione smarrita e la grande incertezza di governi che, mai così divisi, valutano se dover dare il benvenuto con le buone o le cattive. Considerata la natura del film, in questa sede scegliamo di non svelarvi null’altro della trama, ma sappiate che quanto vi abbiamo riassunto è solo il contesto dal quale prende il via il cuore di una storia che vi porterà per mano lungo percorsi narrativi che non avreste mai creduto di intraprendere, liberandosi da ogni vincolo di genere e trovando un inedito equilibrio tra blockbuster e cinema arthouse.
Non è un film di fantascienza, non è un film d’azione e non è un film che si regge sugli effetti speciali. Arrival è la testimonianza di un nuovo cinema d’autore, che sfrutta temi da blockbuster nello stesso modo in cui i tragici greci sfruttavano il metafisico. Sospende la ‘normalità’ e ci cala in una spirale verso la catarsi.
Sin dall’inizio la pellicola si presenta con atmosfere poetiche e rarefatte – costruite da una fotografia incredibilmente debitrice a quella di Emmanuel Lubezki – che, unitamente ai movimenti di macchina lenti e gentili, ci ricorda quanto sia peculiare questo lavoro di Villeneuve. L’ottima Amy Adams, cattedratica esperta in linguistica, si rivela da subito il vero fulcro della pellicola e i momenti dell’annuncio dell’arrivo, con il fiorire di notifiche, le attività quotidiane che si fermano e le persone ipnotizzate davanti ai telegiornali, risultano particolarmente credibili e coinvolgenti, nonostante il cinema li abbia raccontati già altre mille volte. È compito del colonnello interpretato da Forest Whitaker reclutare lei e lo scienziato Jeremy Renner per cercare per conto degli Stati Uniti un canale di comunicazione con i presunti invasori, e se ve lo state chiedendo, sì: gli alieni si vedono e sono decisamente poco antropomorfi.
Villeneuve costruisce un senso di sgomento che ha profondamente a che fare con l’incapacità di comprendere e di reagire, proprio come faceva H.P. Lovecraft nel raccontare i Grandi Antichi. A differenza dell’autore statunitense però, il regista incentra la sua ‘mitologia’ su quella scintilla che plasma l’esperienza umana, che sia degli individui o di una specie: la ricerca della comprensione.
In questo racconto di guerra e pace, la natura umana è un pericolo non meno concreto di quello rappresentato dai cugini di Cthulhu venuti dallo spazio, che per alcuni potrebbero essere sterminatori alla Independence Day e per altri alieni pacifici come quelli di Spielberg. La tensione gioca un ruolo di primo piano. Villeneuve, assistito al montaggio dal sempre ottimo Joe Walker, lascia respirare la narrazione con tempi piuttosto dilatati, eppure il ritmo narrativo rimane costante e un climax inarrestabile ci accompagna sin dalle prime scene verso un epilogo tutt’altro che prevedibile.
In Arrival c’è di tutto: dal Terrence Malick di The Tree of Life al Christopher Nolan di Interstellar, passando per il Francis Ford Coppola di Un’Altra Giovinezza.
La sceneggiatura di Eric Heisserer (fin qui non proprio un punto di riferimento nel settore) su un soggetto di Ted Chiang (il libro Story of Your Life) ci accompagna per terreni di non facilissima comprensione e che richiederanno qualche sforzo in più a quegli spettatori medi ormai impigriti su cinecomic sempre identici a se stessi, eppure il linguaggio filmico – che spesso viene declinato in scene spettacolari ma sempre funzionali – non scade mai in una fredda autoreferenzialità e rimane invece profondamente emotivo ed emozionante.
Quel che possiamo dirvi senza svelarvi altro è che dovete assolutamente andare al cinema, perché vi troverete davanti un racconto capace di intrattenere e appassionare ma anche a una riflessione fantasiosa e sentita su cosa siano l’individualità, l’altruismo e il tempo. Villeneuve è sempre stato un eccellente cineasta, ma con questo lavoro ci consegna una pietra miliare e rivendica un posto di primissimo piano nella cinematografia mondiale, non temendo il confronto con colleghi fin qui più blasonati. Un film per per la sua capacità di unire intensità e intrattenimento fa pensare al miglior cinema di Nolan. Se nutrivate scetticismo e perplessità su Blade Runner 2049, il sequel diretto da Villeneuve del celebre film del 1982, dopo aver visto Arrival sarete pronti ad affidarvi ciecamente al regista canadese, liberati da ogni timore sul progetto.