Inside Man, mini-serie Netflix / BBC One di genere thriller-drama, segna il ritorno del pluripremiato showrunner Steven Moffat. Moffat, già ideatore insieme a Mark Matiss della celebrata serie TV Sherlock con Benedict Cumberbatch (nella quale interpretava anche Mycroft Holmes), stavolta racconta un personaggio che mantiene alcuni tratti comuni con la sua versione del personaggio di Arthur Conan Doyle. Al centro di una delle due linee narrative di Inside Man troviamo infatti un killer con doti da detective cervellotico, che ha il volto di Stanley Tucci.
LA TRAMA DI INSIDE MAN, STORIA DI UN CRIMINOLOGO CRIMINALE
Il prete Harry Watling (David Tennant) si trova nella spiacevole situazione di dover imprigionare nel proprio seminterrato Janice (Dolly Wells). La giornalista Beth (Lydia West), insospettita della sua scomparsa, decide di portare il caso all’ex docente di criminologia Jefferson Grieff (Stanley Tucci), condannato a morte per aver ucciso la moglie.
QUALCHE CONSIDERAZIONE PRELIMINARE SU INSIDE MAN
Per chi fosse convinto di trovarsi di fronte alla raffinatezza di Sherlock, con Inside Man non è così. Moffat impacchetta un buon prodotto che accarezza con cura lo stile della serie che gli ha conferito notorietà, ma non brilla come quel precedente. La miniserie è sempre pensata come un’ibridazione tra generi, in cui il tono è evidentemente sbilanciato sul dramma.
Inside Man presenta una stramba oscillazione tra il geniale e il posticcio, che ricorda più l’altalenante Dracula scritta per Netflix da Moffatt nel 2020. Molte sono le ingenuità (anche nello script), amplificate da sguardi instupiditi e recitazioni sorprendentemente impacciate come quella di David Tennant (Harry Potter e il calice di fuoco, 2005; Broadchurch, 2013-2016), complice probabilmente una direzione dal polso debole come quella di Paul McGuigan. Compensano le scene con Stanley Tucci (Il Diavolo Veste Prada, 2004; Supernova, 2020) e il suo caratteristico e cannibale compagno di cella interpretato da Atkins Estimond. Al di là di alcune licenze di regia e sceneggiatura, Inside Man sostiene bene il ritmo narrativo, sollevando un tema controverso.
INSIDE MAN: STORIA DI UN PRETE E DI UN ASSASSINO
Lo script di Inside Man segue due storie parallele: da una parte un prete che si trova coinvolto involontariamente in una situazione immorale, dall’altra un criminologo omicida che risolve casi alla Nero Wolfe – ma da un penitenziario. L’andamento della sceneggiatura alterna le due linee, in cui è l’attrice Lydia West a fare da collante. Questa struttura è il principale punto forte dell’intreccio, che non smorza il ritmo fagocitante e gli spunti eticamente perversi.
STEVEN MOFFAT E I PARADOSSI ETICI
Inside Man è insieme il racconto di un male banale e di uno stravolgimento etico, dedicato com’è a profilare le mostruose figure degli uomini ‘grigi’, infrangendo la dicotomia irrealistica che separa buoni e cattivi. Moffat, insieme alla complicità della recitazione di Tucci, trascina lo spettatore su un terreno impervio e incerto. Da una parte un uxoricida (Tucci) che decide di risolvere i casi che gli vengono sottoposti solo se rispondono a un criterio etico, dall’altra un buon prete e padre di famiglia (Tennant) che deve combattere con un’azione moralmente condannabile come il sequestro di persona.
INSIDE MAN E UN’ATTRICE STRAORDINARIA
C’è una splendida sorpresa in Inside Man e ha un nome e un cognome: Dolly West. Con esordio in Il Diario di Bridget Jones e altre interpretazioni minori come in PPZ – Pride + Prejudice + Zombies, l’attrice entra in questo gioco paradossale di inversione dei ruoli interpretando la combattiva docente di matematica imprigionata dal prete. Il suo personaggio – complice una fastidiosa riottosità – alimenta il dilemma morale del prete. Anzi è proprio il suo atteggiamento avventato e pregiudizievole ad aprire involontariamente il conflitto che avvia la narrazione.
Così Inside Man capovolge la funzione narrativa della timida vittima. Janice (Dolly West) è infuriata, impaurita, aggressiva tanto da intimidire il prete e sua moglie, rovesciando la posizione dei ruoli: sono i sequestratori che si sentono vittime di un ricatto, rinforzando una spirale perversa.
INSIDE MAN SI TRASCINA DIETRO L’AMBIGUITÁ DI SHERLOCK
Per fare tutto questo in Inside Man, Moffat sfrutta le doti da sceneggiatore riuscendo a creare confini impercettibili tra il bene e il male. Una ricorrenza tematica che avevamo visto già in Sherlock, in cui il personaggio dell’investigatore – qui riproposto nelle vesti del criminologo – non solo era palesemente disturbato, ma anche eticamente ambiguo.
STANLEY TUCCI E LA PROFONDITÁ DEL MALE
Il congegno narrativo di Inside Man porta questo climax della perversione etica all’estremo. Stanley Tucci riesce a creare un personaggio profondo, orripilante, inquietante e che non può non rievocare, seppur pallidamente, il ricordo dell’Hannibal Lecter di Hopkins (Il silenzio degli innocenti, 1991). Questo risulta evidente nell’estetica perfezionista del criminologo, in un volto che lascia trasparire sicurezza e affidabilità e che tratta con consapevole e sarcastica ironia il proprio vissuto da killer. Ma, come egli stesso afferma, lo fa solo se vi è un degno principio morale a reggere il caso. Una ambigua tendenza al bene che, come il personaggio esplicita, non ha valore espiatorio.
INSIDE MAN: CHE COS’É IL MALE?
Hanna Arendt teorizzava che il male più pericoloso è quello banale. Su questo si reggeva la sua intera analisi del processo ad Eichmann confluito nel suo omonimo libro del 1963. Prima di Inside Man abbiamo avuto una prova di questo stile tematico con la splendida Mindhunter di Fincher. Anche Stanley Tucci, nel suo ruolo, è un Eichmann a tutti gli effetti, un uomo grigio in cui intelligenza e bene non coincidono. Con Inside Man, Moffat muove implicitamente una critica all’intellettualismo etico, quella corrente che fa coincidere l’ignoranza con il male, la conoscenza con il bene.
INSIDE MAN: L’OSCURITÀ DI UN’OPERA CHIARA
È la natura del male a essere protagonista di Inside Man, tema su cui Moffat tenta di fare luce. Per compiere un’operazione così impossibile e delicata, utilizza la narrazione come esperimento: una vera e propria messa in scena dell’ambiguità etica. Inside Man non è un’opera chiara. In contrasto a fotografia e scenografia eccessivamente luminose, improprie rispetto al tema, ne emerge un’opera oscura, intricata e moralmente straniante. Uno stile che serve a Moffat per indagare la controversa e annosa questione relativa alla psicologia del male.