È difficile descrivere la sensazione che si prova dopo aver visto il pilot di The Last Tycoon. Nella mente dello spettatore si insinua il presentimento di trovarsi davanti a qualcosa di esteticamente bellissimo ma privo di contenuti; il vortice di personaggi e dinamiche dei primi 60 minuti, con annesso colpo di scena finale, sembrano non essere sufficienti per meravigliare o incuriosire. Tuttavia lo show si ispira ad una storia scritta da F. Scott Fitzgerald ed è perciò doveroso concedere una chance ai restanti episodi.
Hollywood, seconda metà degli anni Trenta. La Brady American Pictures è in fermento dopo aver messo in cantiere un film sulla vita della stella del cinema Minna Davis, tragicamente scomparsa due anni prima. L’idea del progetto è di Monroe Stahr (Matt Bomer), produttore cinematografico dal talento innato nonché marito della defunta attrice, da tempo alla ricerca del film perfetto che gli possa permettere di entrare di diritto nell’olimpo hollywoodiano.
L’entusiasmo ha però vita breve: il secondo conflitto mondiale non è ancora scoppiato ma la Germania nazista sta già facendo pressione sul resto del mondo. Per questo motivo, sebbene il Führer sia un grande appassionato di cinema, non può concedere la distribuzione di un film dove la protagonista, un’attrice amata dal pubblico di tutto il mondo, si sposa con un ebreo. Il capo dello studio Pat Brady (Kelsey Grammer, protagonista in Cin Cin, Frasier e Boss) è così costretto a bloccare la produzione – il mercato tedesco è molto redditizio e perderlo implicherebbe un deficit difficile da coprire – provocando lo scontento del suo pupillo Stahr, che deve rimettersi alla ricerca di un nuovo, grande progetto.
L’idea vincente arriva inaspettatamente dalla giovane figlia del boss Celia Brady (una bellissima e convincente Lily Collins), che propone una storia a sfondo antinazista in grado però di superare la censura tedesca grazie agli escamotage della sceneggiatura. Inizia così la travagliata produzione di An Enemy Among Us, affiancata alle dinamiche interne della Brady American Pictures e alle vicende personali dei suoi collaboratori, in particolare quelle di Monroe Stahr.
Già qualche mese fa Amazon con Z: The Beginning of Everything aveva trasportato i suoi spettatori nel retroscena dello sfavillante mondo dei Fitzgerald ma con The Last Tycoon si è deciso di basarsi sull’omonimo romanzo incompiuto dello scrittore americano (edito in Italia con il titolo Gli ultimi fuochi), riprendendone i personaggi e gli sviluppi principali.
Ideato e scritto da Billy May (Captain Phillips, Hunger Games, State of Play) lo show conferma nei successivi episodi il presentimento avuto con il pilot, ovvero quello di trovarsi davanti al classico prodotto “tutto fumo e niente arrosto”. L’attenzione ai dettagli nei costumi è a dir poco maniacale e convincente ma va a scapito dell’emozione, non contribuisce a ricreare il tumulto degli anni ’30 e nemmeno lo spirito dei romanzi di Fitzgerald, dove i personaggi vivono appieno la loro vita affascinati dal mondo che li circonda ma spesso hanno un vuoto incolmabile dentro di sé.
La crisi dell’industria del cinema, l’avvento nazista, i sindacati dei lavoratori, gli scioperi, la differenza tra ricchi e poveri e, non meno importanti, le relazioni amorose: i sub-plot sono tanti, troppi, e nessuno di questi trova un compimento degno di nota o di attenzione.
Inoltre per chi ha amato e apprezzato Mad Men risulta difficile non evidenziare alcune similitudini fra i due show; non solo per il fatto che entrambi siano period drama concentrati su settori che hanno contribuito al successo statunitense (la pubblicità l’uno e il cinema l’altro), ma anche per gli intenti e la costruzione dei personaggi. Se si aggiunge poi che le due serie condividono la stessa costumista e che l’amante dei due protagonisti è interpretata dalla stessa attrice (Rosemarie Dewitt) sottrarsi al confronto è impossibile.
Si ripropone qui la scena dello studio colmo di di segretarie e di collaboratori molto impegnati e quella di un capo in gamba (Roger Sterling di Mad Men vs. il nostro Pat Brady) che però nulla può contro il talento del suo protetto: proprio come Don Draper, il protagonista dello show della AMC, sul lavoro Stahr sembra essere un Re Mida, tutte le sue idee sono brillanti e di successo, a scapito di una vita privata problematica fatta di segreti. Ma se, come sappiamo, Draper era un antieroe per eccellenza non si può dire altrettanto di Stahr, che nonostante le disgrazie – la tragica morte della moglie e un suo problema di salute – non riesce a mostrarsi tormentato e straziato; questo per colpa di uno script a dir poco debole, che costringe l’interprete Matt Bomer (già visto in White Collar) a portare sullo schermo un main character bello, di successo ma incapace di emozionare.
Il personaggio più riuscito è quello di Lily Collins – che tanto ricorda l’intraprendenza e la bravura di Peggy Olson di Mad Men – anche se basato sullo stereotipo della ragazza ricca che si innamora del povero di turno, disposta a rinunciare al destino già scritto dal padre per inseguire i suoi sogni.
La confezione è bellissima, ma il suo contenuto è deludente; gli intrighi d’amore non appassionano, il protagonista non è in grado di coinvolgere lo spettatore e l’introduzione di personaggi realmente esistiti non affascina ma fa pensare che, anche senza la loro presenza, nulla sarebbe cambiato (e stiamo parlando di personalità del calibro di Marlene Dietrich e Fritz Lang). La presenza della controparte fittizia di Shirley Temple inoltre, con annessi numeri di ballo e canto, non crea nessuna scena cult o tormentone che possa rimanere impresso per giorni nella mente di chi guarda (i fan di Draper e soci non possono non ricordarsi del ritornello “Bye Bye Birdie” utilizzato per un commercial).
The Last Tycoon fallisce il suo intento o quasi, dipende da cosa state cercando: se volete uno show ben allestito e confezionato siete nel posto giusto ma se desiderate un period drama con i fiocchi, in grado di legare gli avvenimenti storici con i personaggi di fantasia e capace di appassionare senza strafare, sappiate che Mad Men è inimitabile.
The Last Tycoon: la recensione della serie con Bomer e Collins
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