Dopo l’exploit della prima stagione, lo show del canale basic cable USA Network Mr. Robot, pluricandidato agli Emmy (con Rami Malek vincitore nella categoria Best Actor), era chiamato quest’anno ad una difficile conferma; la doppia prèmiere (di cui ne abbiamo parlato anche qui) aveva già fatto intuire come la creatura di Sam Esmail volesse salire di livello, cercando di portare avanti la trama estremizzando ancora di più i dualismi allucinazione-realtà e soggettività-oggettività, mantenendo comunque la stessa cifra stilistica che ha contraddistinto questo prodotto nel vasto panorama televisivo statunitense. E’ riuscito Esmail nell’intento? Purtroppo no.
E’ difficile fare il punto della situazione di questa seconda stagione.
In breve (anche perché spiegare nel dettaglio ciò che è successo quest’anno è impresa improba), in un mondo totalmente in subbuglio dopo l’attacco hacker perpetrato dai ragazzi della fsociety nei confronti della multinazionale E Corp, i nostri beniamini si trovano, per utilizzare un eufemismo, in una situazione molto delicata: Elliot (Rami Malek), nonostante abbia accettato a fatica di convivere con il suo alter ego Mr. Robot (Christian Slater), si trova in uno stato fisico e psicologico molto precario (complice anche il soggiorno forzato in prigione), Tyrell Wellick (Martin Wallstrom) risulta inspiegabilmente scomparso, Angela (Portia Doubleday) attua una rischiosa tattica doppiogiochista con i vertici della multinazionale e l’FBI è alla caccia di tutti i membri della fsociety, capitanati da una Darlene (Carly Chaikin) inadatta a ricoprire il ruolo di leader. Con una situazione geopolitica in continua evoluzione, in cui la Cina vuole recitare un ruolo da assoluta protagonista dopo il collasso del sistema, la famigerata fase 2 dell’operazione contro l’E Corp sta per essere ultimata (anche se manca ancora qualche tassello per procedere).
Ci sono diversi problemi che condizionano Mr. Robot quest’anno.
Gli intenti dello showrunner e del suo gruppo di autori erano in partenza indubbiamente molto, molto ambiziosi: usare le vicende di Elliot, un ragazzo geniale ormai travolto dalla sua follia e dalla sua alienazione, per raccontare temi molto importanti come la contrapposizione USA/Cina e il controllo capillare delle multinazionali (e dei governi centrali) sulla tecnologia e sull’economia è quello che si dice in gergo “mettere molta carne al fuoco”; con questi elementi a disposizione è molto facile far presa sul pubblico, soprattutto su quello più giovane (critica al turbocapitalismo + hacker contro il mondo = epic win) ma il rischio maggiore è quello di non riuscire a trovare un equilibrio adeguato. Ecco, Mr. Robot in quest’annata manca di equilibrio.
La sensazione è di essere tornati ai tempi di Lost.
Il paragone non è azzardato perché esiste qualche analogia tra Mr. Robot e la serie della ABC, soprattutto per quanto riguarda l’approccio nella scrittura: come Lost infatti anche lo show di Esmail non ha l’intenzione di svelare molti dei suoi segreti (generando, in questa maniera, una moltitudine di teorie tra i fan) puntando in questo modo sull’effetto sorpresa, con l’utilizzo massiccio di plot twist e cliffhanger per ingannare e sorprendere i suoi telespettatori, una soluzione che sul breve termine può andare bene ma, a lungo andare, può incidere molto sulla qualità della narrazione (che in alcuni momenti è confusionaria); se però Lost faceva del ritmo narrativo uno dei suoi punti di forza, uno dei difetti maggiori di Mr. Robot è proprio nella sua gestione perché un thriller psicologico non può permettersi di dilatare sempre i tempi ma deve creare tensione e suspense, cosa che raramente lo show quest’anno ha fatto. Altro punto dolente è nella caratterizzazione dei personaggi: se escludiamo Elliot (che con la sua semplice presenza scenica si mangia gli altri), Mr. Robot e (forse) Tyrell, i characters secondari non riescono in alcun modo a competere, per carisma, con la figura del protagonista e non sempre sono rappresentati in maniera ottimale dagli autori (Angela ha un atteggiamento quasi schizofrenico nel corso della stagione e non si capisce bene il ruolo nella storia della moglie di Tyrell).
La serie pecca anche di un eccessivo autocompiacimento nella regia.
Chiariamoci, Mr. Robot è girato splendidamente e quest’anno Esmail si è soffermato di più su quest’aspetto dirigendo personalmente tutte le puntate, aiutato dalla bellissima fotografia di Tod Campbell, una dei marchi di fabbrica dello show (a lui si devono le inquadrature “alla Mr. Robot”, caratterizzate da un uso particolare della regola dei terzi e della prospettiva per amplificare il senso di alienazione e freddezza); tuttavia quello che è sicuramente un punto di forza può diventare, a volte, un punto di debolezza perché lo showrunner/regista, evidentemente troppo innamorato della sua tecnica, non è mai disposto a mettere la regia al servizio del racconto. Mi spiego meglio prendendo come esempio una delle scene clou della stagione, l’interrogatorio fatto ad Angela da una bambina: la sequenza, di ispirazione chiaramente lynchiana, non riesce a svolgere in maniera compiuta il suo dovere (in un contesto così weirdo, lo scopo è quello di aumentare il pathos) perché Esmail non rinuncia neanche in questa occasione al suo stile, privilegiando la forma sulla sostanza (quella scena, girata in modo più classico e con un montaggio più serrato, avrebbe reso molto di più).
Non si discute sulla bravura degli attori (un Rami Malek in stato di grazia e Christian Slater spalla perfetta) e sulla realizzazione tecnica ma, da una serie del genere entrata ormai nel giro che conta (Golden Globe e nomination agli Emmy come miglior serie drammatica in questo 2015), ci si aspetta ben altro il prossimo anno, soprattutto tenendo conto della grande qualità presente oggigiorno in televisione; è molto azzardato fare il gioco delle tre carte con gli spettatori perché, da un momento all’altro, l’effetto può essere seriamente controproducente.