Per narrare il dramma di “Jeanne”, Maupassant si è ispirato ai suoi padri letterari, Zola, Flaubert e Balzac, raccontando la vita e la personalità di una donna diametralmente opposta a quella di Palla di sego, il racconto che lo rese famoso. La protagonista del film di Brizè, Une vie, tratto dall’omonimo romanzo, è il ritratto di una giovane e nobile Madame francese che, al contrario della trasgressiva Bovary e della scaltra “Nanà”, non riesce ad uscire dalla sua condizione e a causa del suo candore e delle sue illusioni sprofonda nel dolore, causato dai tradimenti e nella noia, unica conseguenza di un’epoca in cui alle donne ricche non veniva insegnato niente, perché niente dovevano saper fare;nell’ epoca dei furbi seduttori, alla Georges Duroy per citare Maupassant stesso, molte donne hanno fatto la fine della povera Jeanne e molte donne non sono riuscite ad uscire dalla condizione di immobilità che causava l’aristocrazia.
Stephan Brizè, dopo La loi du marche, si conferma un autore particolare, interessato alla quotidianità delle cose e ad un metodo narrativo diverso, fatto di quadretti, come le foto che compongono un filmato in stop motion.
Une vie è senza dubbio uno dei film migliori visti alla laguna e la miglior prova attoriale femminile, per la quale Judith Chemla, nei panni di Jeanne, diventa la principale sfidante alla Portman per la coppa Volpi.
Raccontare la noia è un’impresa impossibile. Van Sant lo fece in the last days e Sofia coppola in Somewhere, ma nessuno dei due americani lo fece in modo così radicale come Brizè.
Il regista cerca di intrappolare la protagonista, serrandola in continui primi piani strettissimi, resi ancora più claustrofobici dal formato in “4:3”, adottato con grandissimo coraggio e consapevolezza; la sceneggiatura rifiuta climax e guizzi di qualunque tipo:tutto scorre sullo schermo e gli eventi hanno lo stesso peso e la stessa importanza, che riguardino la morte o una semplice giornata nell’orto non importa, a Brizè interessa raccontare semplicemente “una vita”, la quale, come scrive lo stesso Maupassant, “Non è né brutta né bella come si crede”.
I grandi costumi, le parole pesati, la fotografia sporca e un grande libro permettono a Brizè e al cast di portare in concorso un film solido, semplice, austero e puro, che riesce a portare a termine ciò che si era prefissato: raccontare la noia ed il tedio quotidiano di un essere umano che, potenzialmente, non serve a nulla e che, non riuscendo ad uscire dal mondo romantico delle illusioni, viene visto, sopratutto da quelli che dovrebbero amarla, solo per quello che possiede.
Jeanne Le Perthuis des Vauds o, per gli amici e i familiari, “una montagna di franchi e ventidue fattorie”, è la nostra coppa volpi.
Venezia 73: la recensione di Une Vie
La pellicola francese, che concorre per il Leone D'Oro, è un adattamento dell'omonimo romanzo di Maupassant.