Guardando The Waiter, film greco del 2018 distribuito in Italia a partire dal 4 giugno 2021 sulla piattaforma streaming MioCinema (che condivide parte degli incassi con le sale fisiche), difficilmente riuscireste a immaginare la biografia del suo regista. Steve Krikris, che oltre a dirigere firma anche la sceneggiatura, confeziona un film di debutto profondamente – radicalmente – greco, nonostante un background internazionale che lascerebbe ipotizzare una certa normalizzazione verso lo stile d’oltreoceano. Il cineasta, di origini elleniche ma nato a Washington, ha infatti studiato cinema presso l’Istituto d’Arte di San Francisco prima di una fruttuosa carriera statunitense nell’ambito dei commercial pubblicitari e dei videoclip.
The Waiter, il film greco su un cameriere solitario e sul richiamo dell’oscurità
The Waiter è un noir dai tempi dilatati e dalla confezione estremamente stilizzata e in taluni momenti ai limiti del teatrale. Ambientato ad Atene ma ispirato a una storia vera (un caso di cronaca nera avvenuto a New York nei primi anni ’80), vede come protagonista un cameriere taciturno e solitario che ha il volto di Aris Servetalis, conosciuto per il bellissimo Alps (Alpeis) di Lanthimos ma visto più recentemente anche in Apples (Mila) di Nikou.
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L’uomo conduce una vita anestetizzata e i suoi unici svaghi sono la passione per le piante e quella per il disegno, che coltiva nel suo buio appartamento – un ritiro ai limiti dell’eremitico, dalla pareti verde bottiglia. Quando noterà uscire e rientrare dalla porta del vicino scomparso un uomo mai visto e dall’aria tanto carismatica quanto losca (Yannis Stankoglou), cederà progressivamente al richiamo magnetico di una vicenda dalla quale sa che farebbe meglio a stare molto lontano. È così che finirà per incrociare la strada di una bellissima ragazza con un carattere particolarmente affine al suo, interpretata con straordinario fascino turbato e perturbante dalla nostra Chiara Gensini.
La spiegazione di The Waiter è in una storia magnetica di vite sprecate e brutalità segrete
Nel primo atto The Waiter sembrerebbe schiavo della weird wave greca, che con le sue camere statiche, i suoi silenzi robotici e i suoi dialoghi surreali si sta sempre più trasformando da un movimento geniale in una prigione confortevole cui i nuovi autori ellenici faticano a sottrarsi. Col progredire dell’intreccio però è evidente come il regista Steve Krikris asserva gentilmente quei codici alla storia, per poi superarli di pari passo ai cambiamenti del suo protagonista.
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Mentre la cupa routine del cameriere viene silenziosamente trascinata ai margini di un vortice silenzioso di morte, violenza, desiderio e addirittura cannibalismo, i movimenti registici si fanno più dinamici e le inquadrature di più ampio respiro, ma senza mai tradire un linguaggio di macchina che rispecchia l’inamovibilità del protagonista. A sottolineare un ubiquo senso di mistero che avvolge questa catabasi dall’incedere tanto naturale quanto estremamente controllato, le bellissime e ipnotiche musiche dal sapore vintage ed evocativo di Coti K.
Il primo pregio di The Waiter è nel tono cupo ma apparentemente quieto della sceneggiatura
Il fascino della sceneggiatura di Krikris sta non solo nel trattare temi di durissimo impatto in modo sempre suadente e tangente, suggerendo anziché mostrando, ma anche nel far vivere in essa figure di grande carattere delle quali però ignoriamo totalmente il passato. E così che quello che potrebbe essere un limite in qualsiasi altro film, diventa qui un punto di forza; un modo per lasciare aperta ogni interpretazione sulle strade percorse dalle tre figure principali e così per conferire tridimensionalità attraverso un gioco di ombre.
Tra weird wave e Sorrentino, il significato finale di The Waiter risiede in un buio che risplende
L’ombra, la tenebra, è proprio la tinta principale di questo thriller noir dall’incedere letargico ma inesorabile. Un’oscurità che risplende, attirando individui che vagano senza meta attraverso la propria vita, come farebbe una luce con degli insetti dai movimenti scomposti nella notte. Eppure, nonostante il carattere originale del film, a più riprese vi ritroverete a ricordare il Titta Di Girolamo di Le Conseguenze dell’Amore.
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Pur trattandosi di due storie completamente diverse e pur rimanendo l’opera con Servillo su un piano marcatamente più nobile, esistono molteplici punti di contatto tra il film di Steve Krikris e quello di Paolo Sorrentino, e col dipanarsi della vicenda apparirà chiaro come due affascinanti personaggi di finzione – il cameriere Renos e Titta Di Girolamo – siano due sfumature dello stesso archetipo: l’uomo intrappolato in un’esistenza che non sente sua, pronto a perdere tutto a partire da un subdolo e incontrollabile istinto al cambiamento.
Ma, come chiarisce l’allegoria nel finale, gli eventi drammatici di The Waiter sono il peso che serve a un uomo morto dentro, affogato in una vita sprecata, per mantenersi a fondo e punirsi; mentre la punizione –quella vera, quella terza – diventa un moto d’aria ascensionale.
immagine di copertina @ Margarita Nikitaki