Berliner (titolo internazionale The Campaign, cioè La Campagna) è il nuovo film di Marian Crisan, regista e sceneggiatore rumeno che nel 2010 aveva riscosso un ottimo successo col suo Morgen al Locarno Film Festival. Presentato in streaming nel Concorso Lungometraggi del Trieste Film Festival 2021 (edizione completamente online), Berliner si inserisce compiutamente nel nutrito filone del Noul Val Românesc, e cioè quella new wave romena che fa sposare un linguaggio filmico piuttosto severo con elementi di dramedy e tematiche inerenti la critica politica e sociale.
BERLINER (THE CAMPAIGN): UN POLITICO CORROTTO SFRUTTA UNA CITTADINA RURALE PER LA PROPRIA CAMPAGNA ELETTORALE
Il «Berliner» del titolo rimanda alla celebre frase «Ich bin ein Berliner» («Sono un Berlinese») pronunciata a Berlino Ovest nel 1963 da John F. Kennedy. Inevitabile l’effetto comico di una citazione che ha fatto la storia, qui ricollocata nel contesto grottesco e fuori dal tempo di Salonta, cittadina transilvana di diciottomila abitanti al confine con l’Ungheria.
A pronunciarla, in un ridicolo slancio di ambizione, è il politico Silvestru Mocanu (Ion Sapdaru, 4 Settimane, 3 Mesi, 2 Giorni), ex ministro dell’agricoltura e ora candidato all’Europarlamento che, dopo un guasto alla macchina, finisce per stabilirsi in pianta stabile a casa del contadino Viorel (Ovidiu Crisan), che l’ha soccorso.
Le settimane si succederanno senza che il modesto ospite abbia il coraggio di chiedere al politico di andarsene, e intanto Mocanu inizierà a sfruttare ogni opportunità offerta dalla comunità locale per farsi fotografare dal suo assistente e sedicente spin-doctor. Tra ritratti nei campi con cesti di verdura del supermercato e finti giri in bicicletta, il protagonista farà di tutto per far dimenticare le beghe giudiziarie che lo riguardano e rinnovare la sua immagine più che appannata.
BERLINER (THE CAMPAIGN) DI MARIAN CRISAN È UN RITRATTO IMPIETOSO DELLA SOCIETÀ RUMENA
Lo spunto da cui parte Berliner (The Campaign) è più che interessante: un incontro tra un potente di Bucarest, inizialmente freddo e spregiudicato calcolatore, e un semplice guidatore di trattore della provincia rurale. Sono mille le direzioni che la storia potrebbe imboccare, e per buona parte della pellicola si ha in realtà l’impressione che Marian Crisan si rifiuti però di scegliere una direzione.
Mentre sullo schermo si susseguono episodi tutti più o meno simili di photo opportunity ai limiti dell’appropriazione culturale e bugie alla stampa, l’unica certezza è che lo scaltro politico sta sfruttando ai limiti del parassitismo un uomo qualunque, ’rubandogli’ la vita e la quotidianità in cambio della promessa di un nuovo mezzo agricolo e di fondi europei a pioggia.
Un’evoluzione progressiva, pericolosamente invisibile
Crisan però sa esattamente dove sta portando quella storia e, un piccolo dettaglio per volta, sposta progressivamente gli equilibri tra i due. Non cerca un eclatante effetto scenico, certo, ma con intelligente sottigliezza priva progressivamente quel consumato uomo politico della sua iniziale autorevolezza e quel contadino naïf della sua ingenuità.
Un po’ per volta, Silvestru e Viorel vedono quella distanza incolmabile tra il ricco e il povero, il potente e il nullatenente assottigliarsi. Ognuno rimane nella propria posizione, ma sono le reciproche disposizioni mentali a mutare. In tal senso assume una rilevanza primaria il finale, che dopo la riuscitissima scena di un dibattito televisivo – anch’essa estremamente significativa – vede esplicitamente le prospettive ribaltarsi.
PROPAGANDA E REALTÀ: QUELLA VITA CHE SI ALLONTANA IN UNA RAPPRESENTAZIONE
È qui che in Berliner (The Campaign) si cristallizza la critica del regista su quella Romania funestata dalla corruzione e dal malcostume politico che tanto bene ha già ritratto Mungiu. Non una generica condanna dei soprusi dall’alto verso il basso, ma un’amara constatazione che elettori ed eletti si assomigliano molto più di quanto potrebbe sembrare, e che i problemi sociali rumeni hanno radici tanto profonde da esser difficilmente estirpabili.
Marian Crisan – originario proprio di Salonta – mette in scena senza retorica e senza alcuna volontà di strafare col drammatico una storia estremamente seria, affidata però ai toni lievi della commedia. Si ride poco e si sorride molto, ma quella quinta di un paese povero, ulteriormente impoverito da una classe politica e amministrativa spesso senza scrupoli, è tutt’altro che divertente.
La scelta di una Romania periferica amplifica lo squallore che pur caratterizza molte zone anche delle città più centrali, e in un’ambientazione che sembra totalmente fuori dal tempo, quello spettro di un’Europa delle possibilità è quantomai necessario e quantomai lontano. Di certo il racconto anche simbolico di una politica invadente, superficiale e opportunista non conforta, ma si sa, come diceva il situazionista Guy Debord: «Tutto ciò che era direttamente vissuto si è allontanato in una rappresentazione».