Due film che condividono la medesima ispirazione, e cioè una sanguinosa vicenda di cronaca nera della Roma anni ’80, e che però si collocano alle estremità più antitetiche dello spettro cinematografico, a dimostrazione di quanto eterogenee siano le strade che può prendere la settima arte.
Da una parte quel Dogman che è valso un riconoscimento pressoché unanime a Matteo Garrone e la Palma per il miglior attore a Marcello Fonte, e dall’altra il nuovo folle film di Sergio Stivaletti, Rabbia Furiosa: Er Canaro, che arriverà nelle nostre sale il 7 giugno con Apocalypsis e che è quanto di più lontano possiate immaginare dal capolavoro del cineasta di Gomorra. Se lì vi è l’ambizione del cinema d’autore, qui vi è tutta la sincerità e visceralità del cinema di genere; se lì la confezione tecnica è curata maniacalmente, qui quella cura è riservata agli straordinari effetti speciali pratici degli ultimi minuti del film; se in Garrone abbiamo una sublime ricerca di un linguaggio pseudo-verista, in Stivaletti ritroviamo una componente visionaria che è tanto estrema da collocarsi al confine con il farsesco giocoso.
UNA LEGGENDA DEGLI EFFETTI SPECIALI PRESTATA ALLA REGIA
A Stivaletti, indiscusso maestro degli SFX italiani da qualche tempo ricollocatosi dietro la macchina da presa, non è mai importato nulla di confezionare film ruffiani verso il pubblico generalista, o anche solo concepiti per ottimizzare la presenza in sala e sbigliettare. È evidente quanto la sua idea di cinema sia libera, radicale e – per certi versi – anacronistica, eppure proprio per questo conserva un suo fascino potente: è completamente svincolata da quella ‘schiavitù della forma’ che ormai reputiamo requisito ineludibile del cinema contemporaneo.
Il cinema di Sergio Stivaletti ha infatti un sapore d’altri tempi, e se cercate movimenti di macchina studiati a tavolino, una scenografia meticolosa, un montaggio senza tempi morti, o anche solo un audio pulito, non è questo il tipo di film adatto al vostro palato. Se invece avete ancora vivo nella mente quel lungo e glorioso percorso del cinema di genere italiano, che dagli anni ’70 si è esteso fino ai primi anni ’90, allora Rabbia Furiosa: Er Canaro riuscirà quasi a commuovervi per la sua poetica e spontanea ‘volgarità’ (nel senso etimologico e più nobile).
UN LUNGO CONTO ALLA ROVESCIA VERSO L’ORRORE
La storia è ambientata ai giorni nostri, e si apre con il ritorno alla libertà del toelettatore di cani Fabio (Riccardo De Filippis, l’amatissimo Scrocchiazeppi di Romanzo Criminale – La Serie), finito in carcere per colpa del pregiudicato cocainomane Claudio (l’imponente Virgilio Olivari). Tra i due esiste un’amicizia sincera, che però risente inevitabilmente del disturbo bipolare di Claudio, i cui comportamenti diventano spesso imprevedibilmente violenti e vessatori. Quando questi si spingerà troppo oltre, stuprando la moglie dell’amico (la bravissima Romina Mondello) e uccidendogli il cane, nel protagonista scatterà un incontrollabile desiderio di rivalsa, che lo porterà a trasformarsi da vittima in carnefice e a torturare brutalmente e uccidere la sua nemesi, fino a farne scempio del cadavere.
LA CORAGGIOSA E DIVERTENTE SCELTA DI DISTACCARSI DAL VEROSIMILE
Se fin qui la vicenda potrebbe non sembrare radicalmente diversa da quanto già visto altrove, è nelle scelte più ardite che si riconosce la mano di Stivaletti, che decide di spingere una storia che potrebbe mantenere toni più convenzionalmente drammatici verso un percorso personalissimo, del tutto inedito per i panorami cinematografici usuali. Con una serie di trovate a dir poco peculiari, il regista inanella elementi improbabili come una ferita infetta che peggiora di scena in scena suggerendo una possibile infezione di rabbia (il cui ultimo stadio è per l’appunto detto rabbia furiosa) e accompagnando la catabasi del protagonista; una droga liquida color verde fluo che ha poteri simili a quelli di un siero del super-soldato; una scena notturna e nebbiosa in cui gli spiriti dei cani si riuniscono per celebrare il Canaro, il cui grido di dolore si trasforma in dissolvenza in un ululato canino alla luna, e ancora un finale in cui un De Filippis con gli occhi da folle si immerge in una vasca di sangue quasi a cercare una rinascita.
Un ‘delirio’ creativo, apprezzabile proprio per la sua natura onirica e caricaturale, che viene volutamente accentuato da scelte non meno ardite del reparto costumi (le camicie alla Magnum P.I. di Claudio sono superate solo dalla mise di un fricchettone che sembra uscito da uno sketch di cinquant’anni fa). Ad arricchire di colori l’insieme, vi è poi la meravigliosa colonna sonora di Maurizio Abeni, che propone un evocativo tema reminiscente del Morricone più western che Stivaletti ci sbatte in faccia quasi con violenza invasiva per tutto il metraggio.
LA PORNOGRAFIA DELLA VIOLENZA COME ATTO LIBERATORIO
Nonostante la violenza che percorre la maggior parte del film sia di natura quasi esclusivamente psicologica, qui, a differenza di Dogman, gli aspetti più granguignoleschi non mancano. Benché relegati all’ultima decina di minuti della pellicola, gli orrori del Canaro (o almeno quelli ricostruiti dalle deposizioni dell’epoca) non solo sono presenti, ma vengono anche ulteriormente estremizzati.
Senza alcuna censura, inquadrate con insistenza e dovizia di particolari (evidente conseguenza di un consapevole orgoglio dello Stivaletti effettista), le sevizie operate dal protagonista sono disumane. Se il taglio delle dita, lo sfondamento del cranio con un martello, la rottura dei denti a colpi di tenaglie, il taglio della lingua e l’evirazione vi sembrano poco, Stivaletti si spinge oltre e non solo arriva a mettere in scena il famigerato scalpo con conseguente lavaggio del cervello con lo shampoo per cani, ma si spinge oltre fino a far trasformare il volto di Claudio nella ricostruzione malata del muso di un cane. Uno spettacolo per stomaci forti, di quelli che non si vedono mai in sala, e che però anziché spersonalizzare l’omicida lo rende ancora più umano e, paradossalmente, vulnerabile.
UN CINEMA D’ALTRI TEMPI CHE AMERETE O ODIERETE
Rabbia Furiosa: Er Canaro è, in ogni suo aspetto, un lavoro tanto sui generis da cogliere impreparato lo spettatore. La recitazione volutamente gigionesca, la confezione orgogliosamente povera e le idee folli fanno del film un’esperienza in cui il kitsch si sublima nell’intrattenimento puro, e dove anche gli orrori finiscono per essere per lo spettatore più un momento liberatorio che un fardello di cui sobbarcarsi il peso.
Andando a vedere i nomi che firmano lo script (i cui dialoghi non brillano certo per spontaneità), al fianco del regista troviamo Antonio Lusci e Antonio Tentori: veterani che, l’uno come aiuto regista e l’altro come sceneggiatore, hanno frequentato lo stesso grande cinema di genere tricolore che agli effetti di Stivaletti deve tanto, affiancando autori come Lucio Fulci, Dario Argento, Lamberto Bava e Michele Soavi (per citarne alcuni). Non c’è quindi da stupirsi che la direzione presa da questo libero adattamento della storia del Canaro della Magliana sembri aprire una finestra su un cinema d’altri tempi.
In conclusione Rabbia Furiosa: Er Canaro è un titolo totalmente fuori dal comune, che o amerete o odierete, ma che mai e poi mai potrà lasciarvi indifferenti.