Elemental, nuovo film Pixar distribuito esclusivamente al cinema (ancora non è nota la data di uscita in streaming in italiano su Disney+), si distingue per la sua colossale insignificanza e non fa che confermare il continuo decadimento dello studio d’animazione americano; una volta artefice di capolavori e ora apparentemente alla continua ricerca del peggiore squilibrio fra estetica e narrazione. Elemental infatti è un lavoro senza alcuno slancio e totalmente derivativo, e non stupisce il fatto che a scriverlo e dirigerlo ci sia un creativo con un curriculum di ‘basso profilo’ come lo statunitense di retaggio coreano Peter Sohn, già mediocre nella direzione e sceneggiatura de Il viaggio di Arlo – il primo grande flop nella storia della Pixar, che nel 2015 non arrivò a coprire nemmeno i costi di promozione.
Elemental è preceduto dal cortometraggio L’appuntamento di Carl (Carl’s Date), che riporta sullo schermo il protagonista di Up (2009), qui alle prese con il suo primo appuntamento dopo la morte della sua amata Ellie. Una perla narrativa dalla luccicante malinconia e dal profondo impatto emotivo che diventa l’unico valido motivo per recarsi al cinema a guardare il nuovo film Pixar. Pochi, intensi e ironici minuti in cui la regia di Bob Peterson racconta l’evoluzione del personaggio di Carl Fredricksen a cui, per l’ultima volta nel 2021, l’attore Ed Asner ha prestato la voce poco prima della sua scomparsa.
DI COSA PARLA ELEMENTAL? LA SEGREGAZIONE RAZZIALE SULLO SFONDO DI UNA COMMEDIA ROMANTICA QUALSIASI
Bernie (Ronnie Del Carmen) e Cinder (Shila Omni), figli della terra del fuoco, emigrano a Element City. Tutt’altro che accoglienti, gli abitanti emarginano il fuoco ritenendolo pericoloso e incompatibile con gli altri elementi. In questo clima nasce e cresce Ember (Leah Lewis), la figlia dei due emigrati, piena incarnazione delle aspettative di riscatto paterne. L’incontro con un ragazzo d’acqua (Mamoudou Athie) segnerà l’inizio di una crisi che porterà la giovane Ember a mettere in discussione la propria vita.
IN ELEMENTAL LA PIXAR SI ACCONTENTA DI UNA STORIA DI RARA BANALITÀ
Una prima e immediata osservazione: Elemental orienta verso forme archetipiche la combinazione fra messaggio ed estetica. La stilizzazione dei volti, che di certo si allontana dalle raffinate tecniche disneyane (ne abbiamo parlato a proposito di Encanto), è resa possibile grazie a personaggi che rappresentano gli elementi naturali (aria, acqua, fuoco, terra), nonché cittadini di Element City. La fluidità, le variazioni cromatiche e l’estrema cura del dettaglio spingono la CGI verso un certo realismo delle texture, ed è fuori da ogni dubbio che questo sia il punto forte della produzione Pixar. Elemental mostra a pieno queste potenzialità, con i corpi trasparenti dei personaggi di fuoco e acqua contraddistinti da un movimento interno continuo. Una tecnica che torna molto utile per restituire i turbamenti emotivi dei personaggi.
Tuttavia, qui la qualità si fa categoria circoscritta e non principio guida, in quanto si riferisce agli aspetti grafici ma non all’intreccio. Elemental è di fatto una commedia romantica priva di climax e che gioca sull’altalenante storia di una coppia (Fuoco e Acqua) in cerca di compatibilità. Una storia consunta e degna delle più banali produzioni cinematografiche, in cui le metafore sono tagliate con l’accetta e che è priva di raffinatezza, profondità o stile.
ELEMENTAL: UN FLOP PREVEDIBILE
Il box office per Elemental non è partito benissimo. Ha esordito nei primi tre giorni con un guadagno di 29 milioni di dollari, piazzandosi al secondo posto con i peggiori incassi Pixar circoscritti a tale periodo. Ha fatto seguito una lenta risalita, con ottimi risultati soprattutto in Italia nel primo weekend di programmazione. La speranza in casa Disney è che il flop arrivi quantomeno a coprire i circa 200 milioni impiegati per la produzione (che non tengono ovviamente conto di budget promozionale e quota degli esercenti).
Un parziale disastro preannunciato, non solo per la scelta discutibile di Peter Sohn, ma in generale per la crisi che sta attraversano la Pixar. Ricordiamo che recentemente sono state licenziate ben 75 persone dalla casa di produzione, fra cui Angus McLane, il regista di Lightyear (2022) – primo film Pixar a tornare in sala dopo l’emergenza sanitaria. Lightyear rappresentava la quintessenza di un decadimento creativo derivato da incompetenza e crisi di idee a discapito dell’alto potenziale tecnico. Era infatti il frutto della manifesta incapacità di tutta la dirigenza di comprendere l’essenza del successo del franchise su cui si fonda lo studio stesso (Toy Story) e un disperato tentativo di rincorrere alla cieca il mix spettacolare dei cinecomic, senza scordare di compilare tutte le caselle del virtue signaling.
Elemental porta ugualmente lo stigma di questa parabola discendente. Dovrebbe ormai essere chiaro che anche la migliore delle CGI (e qui è soltanto buona) vale molto poco se non asservita a una visione e a delle idee. E non è una questione per palati fini: il pubblico generalista del dopo-pandemia semplicemente non è più pronto ad andare in sala senza un ‘buon motivo’ e anche recentemente ha dimostrato di premiare prodotti che brillino per originalità. A tal proposito, il confronto tra il boxoffice del fortunatissimo Spider-Man: Across The Spider-Verse e Elemental è impietoso, e anche un’operazione di fan service estremo come The Flash (che è un live action ma ha una CGI da cartoon indipendente) si sta rivelando un flop più che considerevole.
COSA LEGA ELEMENTAL A GAME OF THRONES E DUNE?
C’è da considerare che l’idea di partenza non è proprio terribile, tanto più perché autobiografica – essendo incentrata sulla storia del regista e dell’emigrazione dei suoi genitori coreani. Il problema rimane la linea di sviluppo incoerente e poco slanciata che fatica a coinvolgere lo spettatore, facendo di Elemental un tritato misto di vecchie e nuove idee e non bilanciando bene le tematiche che sono l’unico elemento salvabile del film.
Elemental ha dunque un punto di forza: i temi. Lo sforzo metaforico non brilla per sottigliezza, certo, ma come risultato i riferimenti culturali originali e l’allegoria etnica emergono con forza, anche perché ad accentuare la distinzione tra i tratti identitari c’è la scelta di far parlare letteralmente delle lingue diverse agli elementi. Infatti la Disney per il linguaggio parlato dal popolo del fuoco si è affidata a un prestigioso conlanger (cioè un inventore di lingue artificiali): David J. Peterson, già dietro le invenzioni linguistiche per Game of Thrones (2011-2019) e per Dune (2021).
ELEMENTAL E IL SISTEMA A CERCHI CONCENTRICI
Il linguaggio o la scelta di caratterizzare gli elementi naturali sono accorgimenti che fanno la differenza e che si innestano in una struttura tematica a cerchi concentrici. In apertura, il macro-tema (collettivo) che fa da sfondo alla storia e che racconta di segregazione ed emarginazione delle minoranze etniche. Segue il meso-tema delle relazioni interpersonali (semi-collettivo), che narra della ricerca di compatibilità nella coppia. Per ultimo, si arriva al micro-tema che inerisce l’individuo e la ricerca di sé, superando i condizionamenti sociali e familiari.
Elemental intreccia questi tre punti di vista, connettendo il destino individuale con quello della collettività e riconducendola al rapporto padre-figlia come sinonimo del rapporto tra gruppo e individuo. Fin qui tutto bene; il problema è quello spazio di centro della relazione fra i due protagonisti. Pur dovendo costituire la narrazione principale non funziona assolutamente, configurandosi come l’isterica ricerca di una compatibilità nell’infantile giochetto del lascia-prendi. Così Sohn fa precipitare Elemental in un baratro riducendo la forza narrativa a una commedia romantica di serie B in cui la posta in gioco è bassa. Non c’è climax, non c’è pathos, non c’è realismo.
IL VERO PROBLEMA DELLA PIXAR: LA SCOMPARSA DEL MALE
Inside Out (2015) metteva al centro la morte dell’infanzia, aprendo le strade alla responsabilità e alla maturità come era avvenuto in Toy Story 3 (2010). Pixar cresce con Coco (2017), un’opera gravida di verità. Il tema della morte e della memoria vengono trattati con estrema delicatezza ma sono lapalissiani. Nessuna paura di raccontare temi brutali. Persino in Luca (2021), il rischio e l’incertezza trovavano uno spazio rappresentativo. Ma questo elemento ‘ombra’ della sofferenza è ormai soppresso completamente con Elemental. Tutto è bello, sicuro, chiaro, stupido. Anche quando le cose si mettono male, l’andamento emotivo generale non si turba. Il climax emotivo è fuori dallo spazio scenico: è svilito, impallidito, defunto.
Questo è il grande problema nel nuovo storytelling Pixar: il male non viene raccontato – lo abbiamo visto recentemente anche in Hocus Pocus 2 (2022) e abbiamo capito che è ormai una cifra Disney-Pixar. Il male non ha uno spazio scenico perché possa essere compreso, assimilato, accettato o repulso nelle sue varie forme. Dal sadico Sid, il vicino di casa di Andy in Toy Story, alla morte di Mama Coco, Pixar ha saputo raccontare la verità camuffando la tragedia con i colori dell’animazione. Questo era quello che piaceva al pubblico, questo era quello che commuoveva lo spettatore medio. Questo è quello che Pixar ha dimenticato.
LA PIXAR, LE OPERE MORALI E LA PAURA DI RACCONTARE LA VERITÀ
Elemental è apoteosi di questo processo. È un film debole, ovattato, senza spina dorsale, un divertimento estetico che serve a soddisfare le esigenze di produzione, a sperimentare qualche nuova tecnica di computer graphics, temendo il grande occhio del giudizio sociale.
Sia chiaro: è meritorio l’intento pedagogico verso l’infanzia ed è giusto aspettarsi che un’opera come questa sottolinei l’importanza dell’integrazione. Il valore sociologico, etico, filosofico e antropologico della narrazione diventa però qui prigioniero del terrore derivante da un diffuso bigottismo. La paura di esprimere realismo e verità, di vedere i propri intenti fraintesi dalla prima polemica pronta a nascere su Twitter, non solo getta lo spettatore in un profondo sconforto ma rende sempre meno performativa l’arte cinematografica. Così, Elemental tocca raramente corde profonde, non racconta veramente i pericoli dell’odio e neanche sa ben giocare con il meccanismo dell’ambivalenza emotiva – da sempre punto forte della produzione Pixar. E quando si sforza di far ridere diventa insopportabilmente ridicolo.
IL ‘RADIOSO’ FUTURO DELLA PIXAR DOPO ELEMENTAL
Per stemperare questa tragedia, la consapevole Pixar ha già dato il via alla campagna promozionale del prossimo film: Elio. Ma anche questo sa vagamente di un ritorno alla ricetta di Luca. Con molto entusiasmo, scorgiamo da lontano le altre grandi avventure che prefigurano l’alba di ‘nuovissime‘, ‘potenti’ idee: un sequel di Inside Out e un Toy Story 5 che, sinceramente, non vogliamo neanche immaginare cosa racconterà.
Siamo ormai fuori dal terreno del buon cinema di animazione, ma anche da quello delle buone idee. A differenza del carente Elemental, non c’è dubbio che film come Coco o Inside Out fossero dei piccoli capolavori – benché non all’altezza delle vette di Up! e Wall-E. Forse, la Pixar dovrebbe prima selezionare meglio i propri creativi e successivamente dovrebbe dare loro il tempo di pensare e scrivere un copione coraggioso, che si prenda dei rischi. Ma nella macchina produttiva della nuova Disney, tra sovrapproduzione per lo streaming e assoluta cautela nel campo minato del politicamente (ultra)corretto, per questo vecchio approccio non c’è più posto. Elemental, nel suo essere disastrosamente insignificante, racconta di questo decadimento. Grazie a Sohn, ci rendiamo conto che la Pixar non sta fallendo, ha semplicemente perso la capacità di raccontare buone storie e di immaginare mondi possibili.