A quattro anni dal discusso E la chiamano estate, Paolo Franchi torna in sala con Dove non ho mai abitato, in programmazione dal 12 ottobre, prodotto da Pepito Produzioni e Rai Cinema, e distribuito da Lucky Red. Dove non ho mai abitato è il racconto del naufragio di una dolcissima illusione. Manfredi (Giulio Brogi) è un famoso architetto torinese, sulla soglia dei novant’anni, che ha una figlia naturale, Francesca (Emmanuelle Devos) e un pupillo, Massimo (Fabrizio Gifuni). Francesca vive in Francia, con il marito Benoît (Hippolyte Girardot) e la figlia Lena (Alexia Florens) e solo di tanto in tanto scende a Torino per far visita al padre. È proprio durante una di queste visite che Manfredi le chiede di seguire insieme a Massimo un progetto: una casa fuori città per due coniugi innamorati. Massimo e Francesca iniziano a collaborare, seppur dopo qualche screzio iniziale, e si lasciano coinvolgere in una spirale di reciproca attrazione, mentre un sentimento inizia a sbocciare nei loro sguardi. I silenzi, nei confronti dei rispettivi partner ufficiali, diventano sempre più lunghi, fin quando la coppia non arriva al punto di dover fare una scelta.
Dove non ho mai abitato non pone l’accento sulla solitudine e sul rifiuto di accettare il fallimento, quanto piuttosto sulla codardia. Viene accennata, infatti, la paura di prendere ciò che è migliore e che si desidera, ripiegando su quanto invece è più sicuro, stabile, costruito; accontentandosi di un tiepido affetto. La paura di un amore così grande e il timore di non poter essere in grado di affrontarlo, però, sono deduzioni lasciate in gran parte alla sensibilità dello spettatore: la caratterizzazione dei personaggi, infatti, non è molto approfondita, e la maggior parte delle figure sembrano galleggiare nella pellicola senza l’ancora di un passato che spieghi o giustifichi le loro azioni.
Un masochistico rifiuto della gioia, dunque, in nome di un futuro più rassicurante. Un’escursione in un mondo sconosciuto, esterno alle loro vite; quasi non reale. Massimo e Francesca vivono il loro amore sempre in luoghi che non appartengono a nessuno dei due: un limbo di indefinitezza, di anonimato, un luogo neutrale. È una piazza lo scenario del loro primo bacio, una casa spoglia il loro talamo. Proprio la casa che loro stessi hanno costruito per una coppia così profondamente innamorata: simbolicamente, quelle mura trasmettono loro quel po’ di coraggio che serve per accettare e cedere ai propri sentimenti; solo lì riescono ad amarsi e quella casa esplicita senza bisogno di parole i loro sentimenti.
Centrale è infatti il rapporto con lo spazio: colonna portante di significato. Gli spazi familiari diventano estranei, quasi sfondi dimenticati a fronte del correre e fluire dei pensieri, mentre gli spazi che non appartengono a loro sono ammirati: desiderano quello che vorrebbero e non possono avere e simbolicamente la casa diventa la vita. Palese l’invidia verso le vite degli altri, una vita ammirata da dietro il vetro di una finestra, replicata solo dove il mondo esterno scompare. Fortissimo simbolo di struggente desiderio che venerano, ma che non hanno il coraggio di afferrare.
La recitazione, soprattutto degli interpreti secondari, è però ingessata: soprattutto nella prima parte della pellicola frequenti accenti cantilenanti perseguitano le orecchie dello spettatore. Una resa tecnica traballante si somma a una sceneggiatura che in molti punti è scontata e prevedibile. Situazioni e aspettative collimano a tal punto da permettere allo spettatore di anticipare l’esito di molti dialoghi. Problematico anche il versante del ritmo: le battute sono spesso scoordinate e non riescono a confluire armoniosamente in un discorso unico. Dove non ho mai abitato parte da un soggetto sicuramente molto interessante e offre spunti dalle grandi potenzialità, ma cade nella realizzazione tecnica.
Dove non ho mai abitato: l’amore e le vite non vissute (recensione)
Paolo Franchi torna in sala con una pellicola su un incontro improvviso che espone un uomo e una donna dinnanzi alle loro debolezze.