Il Messico è una terra dalle mille contraddizioni, un paese profondamente bigotto e religioso che, nella realtà, però ha il triste primato di essere uno dei paesi più sanguinari del mondo; il cinema di Amat Escalante ha sempre voluto raccontare queste realtà molto dure e spietate e lo fa anche qui a Venezia, in maniera meno realistica rispetto al passato, presentando in concorso il suo ultimo lungometraggio, La Regiòn Salvaje (The Untamed).
La storia è ambientata nella regione di Guanajuato, lo Stato più cattolico del Messico.
In questa piccola cittadina Alejandra è una giovane madre di due figli (avuti da suo marito Angel) che si divide tra lavoro e famiglia mentre il fratello di lei, Fabian, lavora all’ospedale locale come infermiere; la loro vita viene però sconvolta da Veronica, una ragazza che fa conoscere loro un’entità extraterrestre pericolosa ed irresistibile.
La Regiòn Salvaje è un film, seppur interessante, non perfettamente riuscito.
Sicuramente gli intenti di Escalante sono molto ambiziosi: raccontare, utilizzando l’espediente dell’elemento esterno che proviene da un altro mondo, una storia violenta sulla repressione sessuale (eterosessuale ed omosessuale) in questo modo è molto coraggioso (il soggetto di partenza è probabilmente tra i più originali dei film in concorso quest’anno); il problema però è che il regista dà al film un’impostazione troppo realistica per essere considerato uno sci-fi vero e proprio. La pellicola inoltre ha evidenti problemi di ritmo (ma questa è sempre stata una prerogativa del regista) e alcune soluzioni utilizzate sono involontariamente trash (la gente rideva in un momento che sarebbe dovuto essere molto drammatico).
E’ un peccato perché dal punto di vista visivo La Regiòn Salvaje è veramente affascinante.
Amat Escalante non è l’ultimo arrivato (nel 2013 ha vinto il Premio per la Regia a Cannes con il film Heli) e questo si vede nel suo modo di girare, una regia pulita dalla mano molto sicura; nel film ci sono diverse scene che hanno una splendida composizione dell’immagine ma soprattutto ci troviamo di fronte alla prima, vera sequenza shockante e provocatoria di questo Festival, realizzata dal filmmaker messicano con l’ausilio di due team danesi specializzati in effetti visivi.
Ci sono mancati in questo Festival, se escludiamo il documentario Safari, film radicali che non avessero paura di mostrare allo spettatore immagini forti che hanno il compito di sintetizzare il messaggio del regista; è anche vero però che il cinema è fatto anche di narrazione, non solo di immagini, e su questo Escalante dovrà lavorare parecchio perché dispiace vedere un giovane autore di talento, che avrebbe il potenziale per fare film per il grande pubblico, rimanere rinchiuso nella dorata ma soffocante oasi dei “registi da festival”.