Nel 2002, due giovanissimi attori americani,Casey Affleck e Matt Damon, presero parte ad un viaggio lunghissimo chiamato Gerry, diretti dal grande Gus Van Sant. Il film racconta, con solo una manciata di battute, il viaggio di due giovani nel deserto senza acqua e cibo, ragione per la quale vedranno la loro grande amicizia scricchiolare davanti a loro. La critica si divise tra “capolavoro” e “fallimento”, come tutti i lavori di Van Sant.
L’unico che stette nel mezzo fu Roger Ebert, il quale scrisse poche, profetiche, righe per il Chicago Sun Times: “Il film è così perverso nella sua ostinazione da diventare di una purezza “folle”. Più il film andava avanti, meno mi piaceva;più il film andava avanti e più lo ammiravo.”
Monte si può definire solo con le parole di Ebert.
Amir Naderi ci chiede tanto, tantissimo. Lo spettatore deve reggere ad un film per molti tratti noioso e anti-climatico, girato con un budget scarso, ambientato in un medioevo poco glorioso(anche a causa dello scarso budget del film), nel quale la famiglia del protagonista è imbruttita, sporca, disfunzionale. Nessuno parla mai e sono talmente poveri da far fatica a mangiare. Vivono su una montagna maledetta, a causa della quale non cresce niente nell’orto e i figli muoiono giovani. Agostino non vuole andarsene, poiché la casa dove viva gli è stata lasciata dai suoi antenati e per questo vuole portarla avanti.
Naderi è un regista iraniano che, come Panahi (Taxi Teheran), non può girare i film in patria e viaggia da trenta anni in giro per il mondo, facendo cinema da ormai quarant’anni. Il “monte” è il suo paese, l’iran, un gigantesco “selvaggio borgo natio”, malato, cancerogeno, dal quale egli deve scappare per poter vivere ma al contempo non vuole lasciare perché è la sua terra.
Allora ci racconta un’ossessione malata, il lavoro di una vita, la storia di un moderno Sisifo che combatte contro la montagna.
Gli ultimi trenta minuti del film ci racconteranno la vendetta di Sisifo, la soluzione, il giudizio universale. Padre e figlio che colpiranno insieme, incessantemente, con i loro picconi, il monte gigantesco che ha rovinato la loro vita.
Monte è ostinato, di una “purezza pazza”, come diceva Ebert.
Non lo sopportiamo questo film e facciamo grande fatica ad arrivare alla fine, ci annoiamo e sbuffiamo per l’ossessione del protagonista e l’austerita della messa in scena, eppure Monte alla fine non ci lascia a mani vuota.
Pauline Kael, per citare ancora, parlando de L’atalante di Jean Vigo, disse che quello era un film che avrebbe emozionato solo dopo anni e non mentre lo si guardava.
Monte è così.
Venezia 73: la recensione in anteprima di Monte
Presentato in concorso alla Mostra di Venezia, il film racconta l'ostinata e apparentemente impossibile lotta di un contadino contro una montagna.